Sing once again with me our strange duet
My power over you grows stronger yet

1/4. A dirla tutta, il primo sentimento che suscita in me non è esattamente il ribrezzo.
Trentacinque anni; ancora due centimetri e arriva a un metro e novanta; voce bellissima; indossa mantello, guanti e regala fiori, sempre e solo una rosa rossa; infinitamente atletico, salta giù da tombe innevate e da macchine teatrali che sembrano uscite dalla mente pazza di Piranesi; tira di spada che è una meraviglia; abita in sotterranei infilandoti nei quali non è che non capisci che stai andando incontro all’avventura; esige che gli venga lasciato per intero un palco all’Opera, sempre il medesimo: il numero 5.
Insomma, a farla breve, se il Fantasma vuole rapirmi e portarmi laggiù dove vive lui e darmi lezioni di musica a lume di candela, io ci sto.
E il fatto che abbia mezza faccia deturpata, con la maschera manco si nota tanto.

Ma procediamo con ordine.

C’è poco da fare.
Se in vita tua non hai mai avuto una storia d’amore così, sei un miserabile.
(Anche se in amore siamo tutti miserabili).
Semplicemente, uno dei film più belli che abbia visto, certamente il più romantico e il più gotico.
Rivisto, d’accordo.
Ero già andata al Metropolitan a via del Corso quando è uscito.
E mi stavo pure innervosendo perché avevo uno vicino a me che cantava tutte le arie.
Cioè uno vicino a me sapeva a memoria tutti i brani.
Dopo due minuti di innervosimento, mi sono abbandonata al doppio suono, invidiando il mio vicino di poltrona.
Lui sapeva.
Per me, era la prima volta.
E stavolta sto dal 30 aprile senza televisione. Non che sia un problema, il tecnico mi ha dato tutte le indicazioni per comprarne una nuova, mi sono appuntata tutto.
E allora che aspetti.
È che mi fa più orrore andare in uno di quei posti dove vendono tutte quelle televisioni che stare senza.
Perché a me fa orrore la televisione. La trovo volgare, ho smesso di vederla perché non sopportavo più la sua volgarità.
No, nemmeno il telegiornale.
Non saprei nemmeno a che ora lo danno.
E come ti informi.

Il vassoio

Non mi informo.
E come fai con i film.
Ecco, questo è un discorso serio.
Infatti.
E avevo pure da due mesi il dvd che girava sulla mia scrivania.
Insomma. Alla fine mi sono preparata un vassoio, ho fatto spazio davanti allo schermo del computer e mi sono detta stai qui davanti da sei ore, un altro paio di ore che ti fanno.
Infatti.
E mi sono infilata nella storia di Christine e del Fantasma, di cui sapevo tutto, non solo perché avevo già visto il film, ma perché avevo anche letto il libro e per ritrovarlo non mi sono dovuta nemmeno arrampicare sulla libreria, sezione romanzi, perché alla L, Leroux, Gaston Leroux, ci arrivo senza scala, c’era anche una data e mi ricordavo benissimo che l’avevo letto in montagna e ricordavo pure il senso di straniamento per cui fra quelle vette, gli scarponcini, le arrampicate, le cene precoci e le colazioni la mattina presto, io mi portavo sempre dietro il mio libro.
E stavo a Parigi, fra i velluti del teatro, spettacoli paranoici, voci che si rincorrevano, tragedie personali e collettive, abiti magnifici, neve che cadeva, cavalli, carrozze, camposanti.

Il musical è bellissimo, il libretto, straziante e percorre tutte le fasi della fascinazione amorosa, della gelosia, della rivalità fra due uomini: dovendo scegliere, il bel conte di Chagny, amore di una primissima giovinezza, o il Fantasma?
Fate voi.
Pure Christine mi è sembrata un po’ indecisa e non posso darle torto.
In tutto questo, il teatro, gli impresari, il pubblico, le feste.
E Parigi.
E la Voce.
E il canto.
E questi scambi continui, continui spostamenti, per cui non si capisce più chi è l’uno e chi è l’altro e se il pubblico sente la voce di Christine o, attraverso lei, quella del Fantasma.
Del resto, se sei innamorato, non ti rendi conto, hai ancora la tua testa o  la tua testa è abitata da un altro.
«I am the mask you wear
It’s me they hear»
E il perché di questa tenace infatuazione, del resto lei è deliziosa e, anche quando è tutta vestita di bianco verginale, proprio perché il bianco è verginale, sono ancora più sensuali le candide calze che vediamo quando si apre l’abito scendendo da cavallo.
Due ore e uno sta con la testa infilata nel sacco, non vuole più niente di quello che ha, vuole altro.

Lo dice anche la mia bibbia dell’abbigliamento: «Le donne hanno torto a non vestirsi più per l’Opera. Passare al foyer in smoking féminin (giacca con la spighetta e gonna baguette di satin) ha comunque più allure che in jeans. I grandi décolletés, i colori chiari prendono rilievo nella penombra. I palchi sono l’ultimo rifugio dell’eleganza fin de siècle: parures scintillanti e mormorio di taffetas fanno la gioia del Fantasma».
E come la mettiamo con la mezza faccia deturpata?
La mettiamo con la maschera.

2/4. Non avevo mai visto la mia vicina di balconcino.
I nostri balconcini sono identici, accostati: il mio è ben tenuto, è pulito e lavato due volte a settimana, ha le piante, ci si prende l’aperitivo.
Il suo non è mai spazzato, c’è un solo vaso sdutto con un vegetale non identificabile, ha pure, nonostante le dimensioni ridotte, una scala messa come in ripostiglio.


La mia vicina ha un gatto grigio a pelo lungo, che si vede ogni tanto.
Ha un televisore enorme che è attaccato al muro della stanza che affaccia sul balconcino.
Vive con le persiane chiuse, ogni tanto parla al telefono dicendo stupidaggini.
La mia vicina ha un amante che va a trovarla una volta l’anno, una vicenda di quelle che accadono, e quando lui va a trovarla si sentono grida, sospiri, rantoli, ceffoni e sculacciate per tutta la notte.
A me non dà nessun fastidio.
Una volta la cosa invece ha dato fastidio al tipo del primo piano, quello che urla come un ossesso per i gol di non ho mai capito quale squadra.
Lui si è affacciato alla finestra e ha gridato cose irriferibili.
(Secondo lui è meglio urlare per un gol che per un amante. In fatto di urla, ognuno ha i suoi gusti).
Il mio condomino di sotto, lo chef, quello simpatico, invece una volta mi ha chiesto se avevo sentito.
Certo che avevo sentito, come avrei potuto non sentire.
Comunque per me possono fare quello che vogliono.
Un paio di sere fa sono andata a innaffiare le mie piante sul balconcino e canticchiavo.
«In sleep he sang to me
In dreams he came
That voice which calls to me
And speaks my name…»
Mentre canticchiavo e innaffiavo il prezzemolo liscio e quello riccio, il basilico, il cappero, il rosmarino, la menta, la salvia, il bonsai, che sta facendo trionfalmente la sua oliva e il limone, che è pieno di fiori e sta facendo pure lui il suo limoncino, la mia vicina è comparsa.
Mi ha vista e si è ritirata.
Io ho continuato a fare quello che stavo facendo, canticchiando.
«Your/my spirit and your/my voice
In one combined
The Phantom of the Opera is there
Inside your/my mind»
Lei si è affacciata di nuovo e mi ha detto «Salve!».
Io ho risposto con calore: «Ciao!».
Io sono miope e stavo senza occhiali, che in casa indosso solo se devo lavorare.
Però ho visto benissimo che è una biondina con la frangia.
Parli del fantasma, e spunta il lenzuolo.

3/3.  Ieri avevo appuntamento dal mio odontoiatra per l’igiene semestrale. Sono andata dalla mia dottoressa e lui l’ho visto solo alla fine perché stava facendo un’estrazione complessa. La sue assistenti alla poltrona sono fra le persone alle quali più tengo in vita mia, abbiamo relazioni intrecciate, loro quando possono mi seguono nella mia attività professionale, io le trovo bravissime, gioiose, attente, accoglienti, le ringrazio sempre per quello che fanno per i pazienti e ringraziarle è sempre troppo poco.
Stavano tutti bardati come a Cape Canaveral, le ragazze con magliettine e pantaloni candidi e cuffie da pirata con sopra i cuori o le coccinelle, poi con i camici verdi, poi con i guanti, la mascherina e la visiera.
Il loro è un posto che amo, supersterilizzato, supermoderno, con la musica giusta, gli schermi 4K, ieri spenti, che trasmettono immagini di spiagge, animali e cibo giapponese.
Ieri era un posto, se possibile, ancora più sotto controllo.
In sala d’aspetto le poche sedie erano state distanziate. A terra c’erano nastri adesivi gialli da non oltrepassare.
E mi sono accorta che ho finalmente visto le linee aggraziate del tavolino di solito coperto di riviste (i fumetti per i bambini stavano in un contenitore diverso. Io mi porto sempre da leggere cose mie, però, lì, un Topolino se posso me lo leggo).
Dicevo le linee del tavolinetto.
Ho detto alle ragazze ma sapete che si sta meglio senza tutta quella cartaccia, tutto più lineare, pulito, minimale.
Lo avevo detto anche al mio parrucchiere, dal quale ero andata il giorno prima.
Insomma, se la carta stampata, soprattutto quella, scompare come sta scomparendo causa pandemia, non ne farei un dramma.

4/4. Il mio Uomo-marketing della Newsletter del venerdì, oggi inviata a 5.216 persone, ha scritto un libro.
Lo ha pubblicato e una settimana prima della pubblicazione ha più o meno detto adesso rassegnatevi perché gli faccio pubblicità.
Io mi sono affrettata a comprarlo, l’ho messo nel carrello di Amazon appena ho saputo che sarebbe uscito e Amazon ha fatto una specie di miracolo e me l’ha recapitato al garage il giorno stesso dell’uscita.
Come è il libro.
Bellissimo.
Colorato come un fustino di detersivo (parliamo di marketing, quindi di come si vende), con il titolo in rilievo (ne sento il turgore passandoci sopra il dito), con una farcitura limitata di parole inglesi, limitata nel senso che ogni termine è spiegato e alla fine c’è un Glossario, con capitoli che hanno un sottotitolo suggestivo e di sapore antico: Dove si parla di eccetera.
Il giorno stesso in cui il libro è uscito e io lo avevo già preso al garage e avevo cominciato a leggerlo, mi è arrivata una mail dell’Uomo-marketing, sempre di quelle sue, sintetiche ma calde, in cui praticamente mi diceva eccolo, vorrei un suo parere.
Eccolo, il parere.
A parte l’assoluta chiarezza, la capacità di spiegare anche cose sfuggenti, a parte l’ironia, la documentazione accurata, l’attualità di parecchi fatti accaduti durante il confinamento che nulla toglie alla profondità e alla precisione dei ragionamenti, insomma, si capisce al volo che si tratta di un’opera che ha avuto una gestazione lunga e che non è stata partorita prematura, a parte, insomma, il lato professionale, il libro si legge come un romanzo.
A me il marketing interessa relativamente, ho attaccato questa faccenda della Newsletter per vedere se poteva essermi utile per il mio small business, ma poi sono precipitata dentro la letteratura.
E qui sta uscendo fuori uno dei quadri più poetici della modernità della provincia, che è un sentimento che corrisponde nella sostanza alle immagini Instagram che l’Uomo-marketing pubblica regolarmente: autostrade, segnaletica stradale, stazioni di servizio, prati che sopravvivono all’urbanizzazione, parcheggi, stradine di campagna con palo e fili della luce, spiagge deserte, un carrello rosso del supermercato contro un muro a strisce grigio e crema, moltissimi e infiniti cieli con nuvole che li percorrono.

Tutto questo mi fa pensare a Sacro GRA  e, lo dico per chi non è di Roma, il GRA è il Grande Raccordo Anulare, l’anello che circonda la mia città, che ho sempre pensato fosse uno dei luoghi più orrendi al mondo fino a che non ho visto il film e letto il libro dal medesimo nome.
È, come sappiamo bene (e come io so benissimo per mestiere), quello che fa l’arte: ti mostra cose che non vedevi pure se le avevi sotto il naso, ti rigira le carte in tavola, ti tira fuori la poesia dall’orrore e il lirico dal prosaico.
Praticamente è quello che ha fatto Velázquez quando ha ritratto i nani e gli scemi di corte, freak tanto quanto è freak il Fantasma, quelli che il re si teneva per passatempo, sempre ignorati o al più scherniti da chi freak non è, da chi la faccia ce l’ha più o meno intatta.
Il grandissimo spagnolo ha ritratto nani e scemi dando loro la dignità che ha ogni essere umano, così come l’Uomo-marketing, che è nato in provincia e che in provincia vive anche se per forza di cose sta sempre anche da altre parti, ha tirato fuori la bellezza di luoghi che io mai avrei considerato belli.
In tutti questi casi, una bellezza moderna, che reclama il diritto di esistere, che si autorizza a proporsi ai nostri occhi, che diviene inevitabilmente quella più autentica, perché il mondo è pieno di gente sfigurata e di scemi, così come è pieno di stradoni e di parcheggi e di balconi trascurati e reietti, casomai con in mostra lo scaldabagno a gas, l’unità esterna del condizionatore e la parabola satellitare.
Quando non esibiscono la scala e il gatto.
E meno male che ci stanno loro, quelli che hanno occhi e parole anche per noi, perché altrimenti il mondo sarebbe inguardabile e la vita troppo dura da sopportare, perché altrimenti saremmo sovrastati da sentimenti di abiezione e di sconcezza e il nostro sguardo non avrebbe più motivi e ragioni di essere e perderemmo definitivamente il gusto dell’avventura e del romanzo.

Insomma, meno male che ci stanno i fantasmi.
Meno male che ci stanno loro.