QUESTO SENTIMENTO DELL’ESTATE, 2: VERSO MATISSE 4/4 LA FINESTRA APERTA

Henri Matisse, La finestra blu, 1913

 

 

 

 

 

 

 

 

La felicità di vivere.  Quattro incontri dedicati a Henri Matisse  3/4
lunedì 4 lunedì 11 lunedì 18 e lunedì 25 giugno 2018
ore 18:00 – 19:00
Saletta di via Gaspare Spontini 17 00198 Roma

A casa mia ci sono 5 finestre + 1. La finestra +1 potrebbe fare la sua figura nel film Medianeras, che parla, appunto, di piccole finestre, quelle aperte in maniera non del tutto regolare sul retro delle case, su quelle grandi superfici inutili che di solito servono per affiggere quegli enormi manifesti pubblicitari. Queste superfici inutili danno il titolo al film.
La mia finestra +1 misura 45 x 30 e per trovarle una maniglia di apertura proporzionata ho girato tutta Roma, impiegando circa un mese e disperandomi di frequente.
Sul suo davanzale, che è molto profondo, praticamente ha lo spessore del palazzo, c’è un cilindro di cristallo con dentro dei sassi e una candelina, che accendo tutte le sere quando comincia a fare notte.
È un rito e un orientamento nel buio. Le prime volte andavo anche a vedermela, praticamente facevo il giro del palazzo, come fanno quelli che portano a spasso il cane, solo per ammirarla luccicare nel tramonto.
Ora accendo la candelina in automatico.
La mia finestrella è del tutto regolare, almeno immagino, visto che ce l’ho trovata, anche se è diventata così bella solo da quando ho trasformato la piccola stanza (m 2 x 2) che la ospita nel mio guardaroba, con alle pareti la carta da parati inglese e il legno dipinto in gris photographique, colore che ho scelto anche per il nome.

A vedere l’infilata di finestrelle (non una ha le medesime dimensioni) sul retro del mio palazzo, che apre su via del Pastore Faustolo, che, lo ricordo, fu quello che trovò e adottò Romolo e Remo, quindi, è un po’ il padre di tutta Roma, si capisce benissimo che la mia è la finestra +1 più bella di tutte, le altre credo che diano luce e un po’ di aria a sgabuzzini, reparti per le scope e le patate, forse ricoveri di umani di emergenza.
Nel film, bellissimo, succede tutto questo e anche altro.
L’ho trovato per caso mentre giravo da Feltrinelli, dove non trovo mai niente. Il dvd mi è venuto incontro, ho dato un’occhiata alle note e ho visto così le prime immagini della mia estate.

Gustavo Taretto, Medianeras, 2011

La storia è presto detta. Siamo a Buenos Aires, Argentina, e l’anno è il 2011, a vedere come comunicano i protagonisti, sono trascorse alcune ere geologiche. Che c’entra, stanno in internet continuamente, lui fa addirittura il web designer, però hanno ancora la segreteria telefonica e i telefoni sembrano più telefoni di quelli di oggi.
Lui è un bel ragazzo con la faccia di gomma. Lei è attraente alla maniera di Baudelaire, sois belle et sois triste.
Hanno tutti e due una vecchia pena d’amore, il film si concluderà con il loro innamoramento reciproco ma si diverte per tutta la sua durata a seguirli nei loro tentativi individuali di uscire dall’isolamento.
Lei è un architetto che fa la vetrinista e che intrattiene rapporti extracurriculari con il suo manichino prediletto.
Lui cerca donne sui siti d’incontro, poi si accorge che sono tutte come i Big Mac, appetitosi in foto e poi deludenti quando te li trovi davanti.
Una scena deliziosa vede lui che è seduto al bancone di un bar e la sua cena che cerca di aprire la porta di vetro del locale per raggiungerlo. Ma non ci riesce, tira invece di spingere, spinge invece di tirare, ora non mi ricordo, ma l’effetto è goffo, patetico, come sappiamo Dio sta nei dettagli, lo sguardo del regista è finissimo, capiamo subito che l’incontro non avrà buon esito.
Lei accetta un paio di inviti da due uomini: da uno scappa, con l’altro si ritrova a letto e deve dirgli non fa niente, non devi preoccuparti, sono stata bene lo stesso.
(Si dice sempre così, non c’è altro che si possa dire).
Il film è tenero, intelligente, ironico e mi ha fatto passare la voglia, che pure un po’ avevo, di andare a Buenos Aires. Della cui architettura racconta cose terribili, un’urbanizzazione cresciuta alla rinfusa, spazi abitativi troppo piccoli, delle scatole da scarpe, e con una sola presa d’aria, c’è anche un cane che si suicida buttandosi di sotto perché la padrona lo tiene confinato su un balconcino.
Martín e Mariana abitano vicini e i loro appartamenti potrebbero guardarsi se i loro palazzi non fossero uno davanti all’altro, ma messi dalla parte della medianera, appunto della facciata cieca.
Ma tutto si mette in movimento quando decidono, ciascuno per suo conto, di aprire la propria finestrella, insomma, la finestra +1 li mette finalmente in relazione. E lì la scena è irresistibile, con quella di lei che vi  mostro in apertura, indicata da una gigantesca freccia pubblicitaria e Mariana che si affaccia, finalmente, e fuma una sigaretta, tutta contenta; e quella di lui che sboccia proprio all’altezza giusta di un cartellone pubblicitario con un modello in mutande.
Del resto una finestrella +1 è, in sé, un’avventura, ti fa vedere un’altra parte di mondo, genera una corrente d’aria, ti cambia il senso della casa in modo che la scatola da scarpe divenga una camera con doppia vista.
Come ho fatto a non pensarci prima.
Ancora una volta un film mi ha aperto gli occhi.

Finestre sull’arte. Potrebbe essere il titolo di un manuale, né più né meno insulso di tanti altri.
Certo è, comunque, che l’arte è piena di finestre, anzi, l’arte è una finestra essa stessa.
Sintetizzo.
Lo spazio nel quale si iscrivono le figure dell’arte bizantina è astratto, il divino è onnipresente, il fondo è irreale, non ci sono finestre perché non c’è esterno.
Nel gotico il fondo astratto diventa reale e si trasforma in muro. Su un muro, lo sappiamo, possono aprirsi delle finestre.
Il Rinascimento si muove alla conquista di quello che è diventato un mondo esterno, inquietante e affascinante a un tempo. Si comincia a rappresentare le finestre. «Lo spazio bizantino…interiorizzava l’esterno; lo spazio rinascimentale esteriorizza l’interno». L’intervento della prospettiva, la necessità di misurare tutto e di tutto analizzare porta a una rappresentazione vista come attraverso una finestra.
Anzi, con Leon Battista Alberti e Albrecht Dürer il quadro è una finestra e la sua superficie è il vetro.
A questo punto la finestra non è più un oggetto visibile e diventa uno strumento di visione.
E passiamo a Matisse, il primattore di questo mio mese di giugno 2018. Fino a circa il 1897 le finestre nei suoi dipinti sono relegate a un ruolo secondario. L’esplosione e il passaggio ad altro avvengono con La desserte rouge, sulla quale l’artista ritorna nel 1908 con la piena consapevolezza della stagione fauve.

Henri Matisse, La Desserte rouge, 1908

Henri Matisse, Le Rideau jaune, 1915

Henri Matisse, Les Persiennes, 1919

Frontale e visibile, la finestra fa vedere quello che c’è fuori ed è un quadro essa stessa.
Da qui infinite saranno le variazioni sul tema, che sono altrettante riflessioni sul modo di vedere e sulla maniera di rappresentare, tanto per sottolineare ancora una volta quanto l’arte sia complessa e vada ben al di là di quello che appare a un’occhiata superficiale.
Arriveremo quasi all’astratto, come ne Le Rideau jaune (1915); passeremo attraverso il quadro nel quadro nel quadro, praticamente un quadro al cubo come ne Les Persiennes (1919), dove dal dipinto fisicamente inteso passiamo all’inquadratura della porta-finestra con le persiane chiuse, come accade al mattino, alla sera o quando fa caldo. Ma nella persiana di destra c’è un’anta aperta che ci mostra l’esterno, ribadendo la funzione del serramento e conducendoci così al terzo livello.
Per non parlare qui delle dimensioni quasi simboliche: piccola la modella  inquadrata nel vano, enormi e pesanti le tende, quasi un apparato teatrale che come un sipario si solleva sulla vera scena della rappresentazione: la finestra.

Flaubert ci descrive Emma Bovary  «accoudée à sa fenêtre», cioè appoggiata con i gomiti, coude, alla finestra e ci dice che lei ci si metteva spesso,  rimpiazzando la finestra in provincia i teatri e la passeggiata. Verissimo, me ne sono accorta quell’anno che ho insegnato a Carrara e che mi ritrovavo nel tardo pomeriggio con l’amica che mi ospitava a casa sua affacciate entrambe alla finestra: arrivavano profumi di bucato e lei mi raccontava i fatti di quelli che passavano di sotto, tutta gente che io non conoscevo, ma in qualche modo l’ora di cena dovevamo tirarla.

Al cinema entrano (e escono) dalla finestra amanti, zombie, extraterrestri, adolescenti in cerca di avventura, animali e prigionieri in fuga o bisognosi di protezione. Anche nella vita, qualche volta.
Insomma, la relazione con la finestra non è mai sedentaria, anzi, si trasforma volentieri in azione.
Ce lo conferma Hitchcock, che, da grandissimo maestro qual è, imposta su una finestra tutto un film,  Rear Window (1954), trasformandola in osservatorio privilegiato su un mondo, complice la temperatura torrida, pullulante di storiette e storie, in cui tutti passano dal fuori al dentro e ci scappa perfino il morto.
Ricordiamocene, in questa estate che è all’inizio, quando abbiamo caldo: anche da una finestra aperta su un cortile e pur con qualche problema di movimento, avendo un po’ di fantasia, la necessità di passare il tempo e qualcuno di elegante che viene a farci visita, si può vedere il mondo nel modo giusto: avventuroso, cinematografico, pieno di stimoli e di arte.

2 Comments

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  1. Strane coincidenze: oggi ho parlato con la mia zia preferita che si trovava a Verona per ragioni non tanto liete e mi ha raccontato di aver notato che in pieno giorno, nonostante il caldo torrido, in quasi tutte le case ha visto solo finestre spalancate. Stessa cosa nell’appartemento che ha preso in affitto dove è stata accolta dalla proprietaria nell’ora più rovente , felice di averle fatto trovare le finestre aperte. Domani voglio fare caso alle finestre che vedo da casa mia.
    E riflettere su tutte quelle che anche da me ho fatto aprire e allargare.
    Ti abbraccio

    • Rosella Gallo

      24 giugno 2018 — 16:28

      Caterina cara, mia nonna materna nella stanza da pranzo della cascina in Piemonte teneva sempre le finestre chiuse e le tende tirate, sembrava di entrare in una tomba, la stanza, del resto, si usava solo la domenica e veniva considerata sacra. A me, a casa mia, dà fastidio avere le persiane chiuse, certo d’estate è indispensabile, però il buio lo trovo gradevole solo la sera, durante il giorno mi fa piacere vederci.
      Resta il fatto che abbiamo trovato un altro argomento tutto da scandagliare e questa cosa è bellissima. Dammi notizie e informazioni, un grande abbraccio. Rosella

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