Edward Hopper, Room in Brooklyn, 1932

Per il resto, chiuso in casa, scriveva i suoi romanzi, leggeva, ascoltava la musica e qualche volta andava a nuotare nella piscina del quartiere. A parte qualche rara conversazione con i colleghi della scuola, non parlava quasi con nessuno. E non era affatto scontento di quella routine. Anzi, si avvicinava molto al suo ideale di vita.

Murakami Haruki, 1Q84

Questo è solo l’inizio. Io li capisco, quelli che scappano.
Che cercano di raggiungere la seconda casa.
Che escono di notte sull’autostrada in macchina per andare da un’altra parte.
Io li capisco, quelli che hanno voglia di mare.
Pure se ho una casa sola; pure se appena posso evito l’autostrada; pure se non vado mai al mare.

Però li capisco, perché mi sono stufata anch’io, che pure sono una solitaria, che non mi faccio l’aperitivo con gli amici, la degustazione di vino settimanale, la cena obbligata con quelli che frequento.

Credo che per una persona mediamente vacanziera, festaiola, che va ai convegni, alle fiere e alle terme, stare confinata dentro casa a un certo punto diventa insopportabile.
E ci sono pure quelli che vanno in crociera.

Che ne sarà di noi?

Donne che si scambiano segreti. Mia nonna si sedeva al tavolo della cucina e puliva per almeno cinque minuti ripassandola con la lama del coltello la stagnola del dado da brodo.
L’altro giorno la ragazza rumena che viene a fare le pulizie è riuscita a togliere il tappo del Cif, lei che fa fatica a capire che cosa è un coperchio e come si regola l’altezza del tubo dell’aspirapolvere, per ripulire con l’acqua calda tutto il flacone del detersivo che ancora c’era dentro.

Pâquerettes ovvero margheritine

Mi chiedo fino a quando il supermercato sarà rifornito delle mie fette biscottate e della marmellata inglese di limoni e se per caso non mi toccherà stare a razionare il latte detergente e il gel per il contorno occhi.
La rumena è efficiente, primitiva, vive in due camere con altre tre persone, si lamenta che deve fare tutto lei, che trova il gabinetto sporco, che i maschi bestemmiano davanti alla playstation.
Fanno le grigliate sul balcone e i vicini hanno chiamato la polizia.
È vero, ho dimenticato, insieme a quelli che si fanno l’aperitivo con gli amici, quelli che con gli amici si grigliano le salsicce.
Ho detto alla rumena ma fatti un fidanzato italiano, almeno impari la lingua, sta qui da quasi dieci anni e l’altro giorno non capiva che cosa erano le mollette per i panni.
Ha otto fratelli, a scuola ha studiato il russo, il padre non so che fine abbia fatto.
Le ho dato da leggere un romanzo italiano che ho amato molto, c’è la storia di una professoressa di matematica che insegna in un carcere minorile e che si fa prendere dalla pena per una ragazzina rumena che è stata pestata e violentata in famiglia e che sta lì dentro per il furto di un cellulare.
Dice la rumena che viene a casa mia a fare le pulizie che non leggeva un libro da dieci anni, ha voluto una busta di plastica per incartare quello che le avevo dato perché nella borsa aveva un panino e temeva che si sporcasse.
L’ho sentita, io lavoravo nel mio studio, che stava all’ingresso e parlava a voce bassa.
Lei è ortodossa, siamo in Quaresima e lei il venerdì non mangia né carne, né uova, né pesce.
Pensavo che recitasse una preghiera.
No, aveva aperto il libro e leggeva la prima pagina.
Non so se in me prevalga l’irritazione perché devo dirle mille volte di non mettere i libri a testa in giù quando li spolvera; o la tenerezza: per quello che sarebbe potuto essere e ancora potrebbe essere se solo il gabinetto non fosse sempre sporco e se i maschi non bestemmiassero giocando con la playstation.

Alcune cose che hanno subito modifiche. Mi sta succedendo una cosa strana. Io sogno regolarmente e certe volte mi scrivo i sogni che faccio.
Da qualche giorno, da quando il confinamento si è fatto più lungo, ho cominciato a sognare persone cui non pensavo da anni.
La regolarità del modo in cui si presentano i sogni mi sconcerta.
Sono sogni complessi, narrativi, chiamiamoli di natura sentimentale.
Non pensavo di avere in memoria tutta questa roba.

Non-ti-scordar-di-me

Pensavo di aver tirato un tratto su tutto. E invece, no.
La scorsa notte, per esempio, l’ho trascorsa con un tipo, all’epoca un ragazzo, con il quale avevo avuto una vicenda estiva quando io stavo più o meno al secondo anno di università.
Lui era di poco più grande di me e prima era stato in vacanza in Svezia.
Per questo fatto e per il suo aspetto fisico, alto e biondo, nella comitiva era chiamato Lo Svedese.
Quando lo conobbi, dopo averne tanto sentito parlare, vidi che aveva le mani tutte sporche del verde delle noci fresche che aveva appena staccato dall’albero per mangiarsele.
Una ce l’aveva ancora in tasca e me la offrì.
Ricordo che questa cosa mi sembrò molto bella, primordiale e distante anni luce da me.
La sera ci davamo volentieri appuntamento al cimitero del paese, un posto tranquillo.
Molto legato al luogo e alla natura, lui. Gotica, io.
La volta che ci sorprese un temporale e che tornai a casa intirizzita, tremante per la paura dei fulmini e zuppa d’acqua, pregando i santi e i morti che mia madre dormisse e che non sentisse il rumore dell’asciugacapelli, me la ricordo come una delle cose più avventurose della mia vita tutta.

Rientrati a Roma c’eravamo visti un paio di volte, poi lui era partito per aprire un ristorantino in Mesoamerica, non ricordo dove.

Già dopo molti anni, io mi ero appena separata, ero seduta in una sala d’aspetto e un uomo mi interpella e mi chiede se io in quell’anno ero in vacanza là.
Mi volto ed era lui.
Perfettamente riconoscibile. La prestanza fisica era rimasta quella.
Io ero in fase nomade, dunque uscimmo alcune volte: gli mancava un dente, per la precisione un premolare, e aveva un banco di chincaglieria a Porta Portese.
La volta che alle tre del mattino volle una birra dopo tutto il vino, pensai che forse non era il caso.
Lui aveva una motocicletta, ne aveva avute più di una.
Il sogno ripercorreva per filo e per segno tutta una serie di incontri, modificandoli.
Mi sono svegliata e l’ho cercato sui social, trovandolo subito.
Ho anche pensato adesso gli chiedo l’amicizia e gli racconto il sogno.
Poi mi sono detta lo faccio dopo colazione.
La foto che lui aveva messo per il suo Profilo lo mostra seduto su una motocicletta, giubbotto di pelle, sneakers, sigaretta.
L’ultimo video che ha postato è come mi ricordo che era lui: divertente e lontano anni luce da me.
Ormai, soprattutto per il fatto del dente.
Ho lasciato perdere.
Ho fatto colazione e mi sono messa a pensare a altro.

Cambiato il paesaggio, cambiate le regole. Da un pezzo evito discussioni. Non credo più di dover chiarire niente, ma chi te lo fa fare a chiarire.
Non mi lego niente al dito, poi, il laccio col nodo ti rimane attaccato.
Ma sono diventata (ancora più) insofferente.
Ieri mi è dispiaciuto aver detto a una collega piena di buona volontà che mi stavo innervosendo per la faccenda delle lezioni on line.
Le ho detto che sono uno storico dell’arte e non un’esperta di informatica e che tutte quelle piattaforme mi erano venute a noia.
Abbiamo parlato al telefono per quasi un’ora e lei ha capito che cosa le stavo dicendo.
Che ci sto, ma che non si può pretendere da me la rapidità che ci è piombata addosso.

Magnolia

Ho chiarito che da sempre faccio lezione con la parola e con le immagini e che questa è la prassi che si usa con la storia dell’arte.
E che poco mi importava della Chat, del Team, delle Attività e del Calendario. E soprattutto niente mi importava di: Emoji; GIF; Adesivi e Meme.
Quando ho trovato il bottone Send a Praise, sono andata su tutte le furie.
Allora si fa così.
Io sono una persona seria e seriamente mi occupo di storia dell’arte.
C’è anche il bottone Abbandona Team.
Se non la piantano di seccarmi con tutti quei contorni, io mi tengo la pietanza e, cari studenti, ti saluto storia dell’arte.
Come niente qualcuno è pure contento.

Forse sarebbe meglio non augurarsi una cosa del genere. Come detto sopra, sono diventata (ancora più) insofferente.
Da un pezzo poco mi interessano i chiarimenti.
Ma che chiarisci a fare.
Però, sarà stato il confinamento, sarà stata la misura colma, ho parlato con un paio di persone e ho detto loro quello che pensavo.
Mai dire quello che pensi.
Che lo dici a fare.

Narcisi

Ma stavolta l’ho detto.
È interessante vedere come le persone non capiscano niente di quello che succede, degli stati d’animo che vivono e che generano, anche persone intelligenti e sensibili.
Una cosa che ho capito precocemente è che coloro che si dichiarano sensibili sono sensibili solo per quello che li riguarda.
Poco male.
Ho detto avremo tempo per riparlarne.
Ho detto adesso non posso perché sto lavorando.
Ho detto ci sentiamo al telefono un’altra volta.
Ho detto lo so, che è un periodo angoscioso. Però io non sono angosciata per niente.
Più che altro vorrei evitare l’angoscia dell’incomprensione, del chissà perché non ci capiamo.
E, se non ci capiamo, ci capiremo quando avremo tempo.
Ammesso che avremo ancora tempo.
Ammesso che avremo ancora voglia di capirci.

A parte l’anima, non possiedo nulla. Come detto, mi sono stufata.
Voglio andare a Parigi.
Voglio un nuovo taglio di capelli.
Voglio avere più scelta di vino, le consegne, ormai, richiedono tempi biblici e a casa mia, non ho capito perché, si bevono più bottiglie di quante non si riesca a ordinarne.
Avrò presto problemi di soldi.
Poco male, io ho sempre problemi di soldi.

Pulmonaires, ovvero asfodeli

Il mio Uomo-Marketing della Newsletter del venerdì, al quale ho scritto, in risposta, anche questa settimana perché avevo voglia di parlargli, dice che è vero, che «sopravvive chi si adatta».
Pure lui con le virgolette.
Mentre aspetto, come si aspetta Natale, che lui mi risponda (non dico che abbiamo una corrispondenza, dico che a lui piace scrivere e che, quindi, mi risponde), mi chiedo se sono capace di adattarmi.
Ho scoperto che fare lezione on line è più faticoso che farla dal vivo.
Ho scoperto che fare lezione on line a sette persone è più faticoso che farla a cinquanta.
Ho scoperto che fare lezione on line mi diverte molto e che può essere un’idea per quando sarà finito il confinamento.

(Ammesso che il confinamento finisca).

Ma ho scoperto che posso vivere anche senza fare lezione.

Il rubinetto del lavello della cucina perde e devo cambiarlo. Un paio di estati fa fui aggredita da un’erinni che mi rimbrottò perché dicevo che le fontane di Gian Lorenzo Bernini non potevano stare senza acqua e lei sosteneva che altrove ci sono bambini che bevono dalle pozzanghere.
Giusto.
Che possiamo fare, in quest’ottica e in questo confinamento, per il mio rubinetto?

La mia televisione è rotta da undici giorni, si è, come si dice, spenta.
Forse ne avrò una nuova fra un paio di mesi.
Se tutto va bene e se finisce il confinamento.
Anche se a me, della televisione, interessa poco o niente.
Però i film mi interessano, e parecchio.

Che faccio? Leggo, scrivo, sto appresso alla rumena che mi pulisce casa.
Esco a comprare il pane fresco. Se è aperto il fornaio, non vedo perché non dovrei farlo.
Questa settimana la mia rivista francese non è arrivata all’edicola di via Veneto e la cosa ha fruttato almeno cinque telefonate con l’edicolante.
Sempre squisito, un po’ cinico, galante.

Mi sono rimessa a leggere 1Q84 di Murakami Haruki, una delle cose più belle che abbia letto in vita mia.
Un romanzo pieno di confinamenti.
Tutti i titoli in neretto che vedete sono quelli di alcuni suoi capitoli.
Io che per la lettura sono sempre bulimica e infedele, mi scopro a non poter stare due ore senza.
Vuoi vedere che con i libri è come con le persone.
Se sono interessanti, meglio, se ti travolgono, mica è che vai a cercare altrove.
Quello che desideri è solo stare a leggere. È solo frequentarle.
I modi sono tanti e ce ne possiamo anche inventare di nuovi.

Meglio della seconda casa, della degustazione e delle terme.
Per non parlare di quanto sia meglio un bel libro o una bella persona di una grigliata di salsicce.
Di quelle che si fanno i rumeni appassionati di playstation sul balcone.
Casomai, bestemmiando.