Il mio limone in fiore

Vojo  cantà così,  fior de limone, si avessi ‘na campana drento er core, si avessi ‘na campana drento er core me sentiressi batte’ er cuppolone

Ieri mi sono accorta che il mio vaso di limoni, piccoli e succosi, ha messo un sacco di fiori.
Tutto il balconcino profuma, basta avvicinarsi. Ho buttato tutte le piantine  fiorite che avevo comprato nemmeno troppo tempo fa e ho messo fuori delle erbe aromatiche. Sono utili e decorative.
Sarei voluta andare a un vivaio, mi pare che abbiano riaperto, poi ho cambiato idea.
Non c’è spazio per il superfluo.
Ci ha pensato il limone, a dirmi che non era vero. I fiori, d’accordo, si trasformano in frutti, almeno dovrebbero, però questa esplosione bianca e rosa, al momento, è fine a se stessa.
Meglio, il suo fine è di allietare la vista quando si esce sul balconcino a innaffiare o a prendere una boccata d’aria.
Devo avere ancora una scatola di concime per agrumi dello scorso anno.
Stasera lo spargo sulla terra prima di darle acqua.
Do una mano alla fioritura.
Lei dà una mano a me ad andare avanti.
Mi pare il minimo che, insieme, possiamo fare.

Ci avete l’occhi neri de la fata
L’amanti li tirate a calamita,
Pe famme morì a me, bella sei nata.

Azzerare tutto. Questa è la parola d’ordine del mio Uomo-Marketing, quello della Newsletter del venerdì.
«Ogni settimana mi sembrano cinque anni», gli ha detto qualcuno.
D’accordo, il tempo per molti si è dilatato.
Io invece sono in uno stato di iperproduttività, dunque, sto in confinamento come il topo nel formaggio, faccio fatica a fare tutto.
Io soffro della sindrome di Napoleone a Sant’Elena.
Io devo stare sul campo di battaglia, l’Imperatore fu confinato in quel fazzoletto di terra perduto nell’Oceano Atlantico, 16 km di lunghezza per 12 di larghezza.
Io al suo posto mi sarei buttata dalla scogliera, credo che abbia pensato di farlo anche lui.
Ma, abbiamo detto, azzerare tutto. Lo ha detto l’Uomo-Marketing.
Chiarendo anche che per lui azzerare tutto è back to basic. «Azzerare budget di marketing, azzerare considerazioni di targeting, di posizionamento».
Prendo nota.
«Oggi è il momento di azzerare tutto, non di eliminare tutto, ma di azzerare e ricalcolare. Cosa ci serve?».
Ho preso gusto a fare lezione on line. Se penso a quanti chilometri ho fatto in vita mia (per anni 426 al giorno due volte a settimana) per andare a fare un’ora di lezione, penso di aver buttato il mio tempo.
Per non parlare delle riunioni, lunghe, insensate, dalle quali era difficile tirare fuori qualcosa di buono, anche, da parte mia, con l’assicurazione che no, non stavo sempre con un piede sul predellino del treno come certi miei colleghi, perché a quel punto diventi pazzo, se il viaggio che sta fra te e il lavoro non sei capace di apprezzarlo, è meglio che ti trovi un’altra soluzione professionale.
Se penso all’andirivieni in macchina, carica di libri e di fotocopie, con il proiettore a tracolla, le discussioni per la temperatura in aula.
E poi, i ritardi.
On line funziona diversamente. Se arrivi anche un solo attimo dopo l’inizio della lezione, rischi pure di non entrare a sentirla.

Quanto sei bella
Te ce vorrebbe ‘na rosa pe spalla,
E su la fronte ‘na lucente stella.

E poi, questa cosa di silenziare i microfoni, quelli altrui, continuo a guardarla con stupore. Faccio due clic e l’aula è, finalmente, praticabile.
L’altro mio uomo di riferimento, lo Scienziato-Umanista, ieri, anzi, stanotte, ha scritto: «penso che le Università saranno l’ultimissima cosa ad aprire (fosse per me non riaprirebbero proprio…)».
Piano piano, dentro di me, si sta facendo strada questa medesima idea.
Commenta uno studente: «non mi trovo molto bene con l’e-learning».
«Come mai?», gli chiede lo Scienziato-Umanista.
«Limite mio nel relazionarmi con i prof e limite tecnico loro».
Durante un collegamento on line con una borsista che ha spiegato piuttosto bene come funzionava la piattaforma sulla quale sta lavorando la mia Accademia, alla fine un collega ha detto che aveva il computer rotto e che stava cercando di fare lezione con il telefono.
Fra l’altro, se non ho capito male, per un corso laboratoriale. Come si possa fare lezione con il telefono, sto qui a chiedermelo.
Ascoltarne una, non ho dubbi.
C’è gente che ci vede i film, sul telefono.
Io i film li sto vedendo adesso sul computer perché ho il televisore rotto da venti giorni ma, sul telefono, piuttosto non vedo i film.
Fra l’altro, con tutto quello che ho da fare.

Vojo cantà così, fior de grugnale
Si fosse malattia fare all’amore
Si fosse malattia fare all’amore
Sarebbe er monno tutto un ospedale
Sarebbe er monno tutto un ospedale!

Capisco le donne che si sono innamorate del Presidente del Consiglio. Io lo vado dicendo da un pezzo, da un tempo non sospetto, che lui è un uomo molto sensuale.
Che cosa apprezzo in lui. La voce. Morbida, ti sembra che ti avvolga in una bella stoffa calda.
E poi lui ha la riga da una parte.
Una cosa del tutto improbabile in un uomo adulto.
Probabilmente gliela faceva la sua mamma.
Anche per questo lui fa tenerezza.
Ieri ho passato una mezz’ora a guardare su un social una pagina a lui dedicata. Piena di fotomontaggi, con il Presidente del Consiglio che dice bimbe, contessine, bamboline.
Un po’ mi veniva da ridere. Un po’ l’effetto era il medesimo, irritante, di quando sento i padri chiamare la loro figlioletta principessa. Poi, quella ci crede e vuole fare il dirigente d’azienda pure se ragiona poco e malamente.
Comunque, non c’è dubbio. Alle donne piace essere chiamate bimbe e bamboline.
Il confinamento più potente per una donna è quello nell’infanzia.
Età senza responsabilità e senza libertà di movimento, certe discussioni con i miei studenti, tutti nostalgici di quando erano babbei.
Contenti voi.

Fior di finocchio
Siete tenerella come un abbacchio
Avete bianco il viso e negro l’ occhio.

La nettezza urbana lava la strada la mattina presto.
Fuori dal fornaio, la sporcizia in strada alligna, pezzi di carta, cicche di sigarette, pattume generico.
Una volta che pioveva mi sono rifiutata di mettere il mio bell’ombrello inglese nel portaombrelli.
Ho detto al tipo in cassa che era sporco.
Lui ha risposto che ci avevano buttato dei pezzi di carta.
A ben guardare, la mia pattumiera è sempre molto più pulita del suo portaombrelli.
Però tutti in fila davanti al forno.
Con mascherina e guanti.
Il punkabbestia che vive davanti a Villa Lazzaroni da un po’ si è trovato una fidanzata.
Chi si somiglia, si piglia. Dunque, lei è tale e quale a lui.
È probabile che non si siano mai lavati in vita loro.
Sono tossici, alcolizzati, con tre cani e i vestiti laceri.
Ma indossano entrambi la mascherina.
Hanno sorvolato sui guanti.
Pure allo zelo c’è un limite.

Fior di piselli
Come vi stanno bene questi coralli
Come al somaro mio li campanelli.

Il mio supermercato (uno dei miei. A dirla tutta, al momento ne frequento quattro. Poca roba, a fronte dei dieci di cui ero cliente durante il mio pendolarismo), il mio supermercato, dicevo, quello sull’Appia, ha due direttori.
Uno è amico mio.
L’altro è un povero cristo, buono d’animo ma del tutto inefficiente. Tanto per dirne una, nemmeno sapeva che l’olio, un anno dopo la spremitura, in autunno, quando c’è l’olio nuovo, non lo puoi vendere a venticinque euro il mezzo litro.
Mi rispose che era buono lo stesso.
Forse, se ce l’ho in casa.
Ma certo non vado a comprarlo.
Un paio di giorni fa, dopo una fila di due ore di orologio, lui stava lì davanti, gli ho detto che forse dovevano organizzarsi. Avevo passato il tempo della fila a far sedere sulle sedie rimaste fuori dal bar che aveva chiuso un paio di signore anziane che non si reggevano in piedi e a sedare una lite di nessuna importanza fra gente nervosa.
Staremo in questa condizione per mesi ancora, forse si può pensare a un sistema di prenotazioni, ci sono delle app, per anni abbiamo preso i biglietti del teatro andando sul sito e scegliendo il posto, anzi, di solito era il teatro a dirti, a parità di prezzo, quale posto era migliore.
Uno va sul sito del supermercato e prenota un ingresso, che ne so, alle 15:40.
Il direttore mi ha risposto che lui è contrario.
Contrario a che cosa.
Contrario a internet. L’ha detto.
Devo raccontare la conversazione al direttore amico mio, che mi sembra un po’ di più un uomo nell’aria del tempo.

Occhi morelli
Ci avete ‘na gran chioma de capelli
E ve li accomidate carinelli!

A me interessano i sentimenti.
Io metto i sentimenti volentieri sotto la lente.
Mi sono accorta che uomini che vivono da soli (e forse anche quelli che vivono in compagnia) in questo periodo sono molto fantasiosi.
Trovo la cosa bella.
Insomma, hanno bisogno di farsi un film.
Un po’ come le fidanzate di guerra, quelle che intrattenevano una fitta corrispondenza con giovani soldati che stavano al fronte, che non avevano mai visto e che chissà se avrebbero portato a casa la pelle, credo che si possa in qualche modo suggerire loro una sceneggiatura.
Sommando tutto, sono moti di vita.
Io sono una che si innamora.
In questo periodo è possibile che mi sia innamorata (un po’. È molto interessante che l’intensità dell’innamoramento possa variare come la temperatura: alterazione; febbricola; febbre alta; convulsioni) sia dell’Uomo-Marketing che dello Scienziato-Umanista.
Dell’innamoramento ho i sintomi.
Ho con entrambi solo rapporti di scrittura, che per me sono comunque rapporti importanti.
E loro due scrivono entrambi molto bene.
Pessimista, asciutto, molto moderno, con voli poetici inattesi che ti cascano addosso come manna dal cielo quando hai fame, l’Uomo-Marketing.
Ottimista, limpido, razionale eppure vibrante di calore umano, lo Scienziato.
Umanista.
Altrimenti che calore umano avrebbe.
Leggo l’Uomo-Marketing una volta a settimana, la sua Newsletter arriva il venerdì alle 9:00.
Se alle 9:03 non è arrivata, divento di cattivo umore, mi chiedo se per caso lui non abbia deciso di non inviarla più, lo ha detto più volte, che non ne vedeva più il senso.
Come già raccontato, lui scrive a 4.643 persone.
Come già raccontato, la sua bravura sta nel saper comunicare con ciascuna di esse in modo esclusivo.
Come già raccontato, ogni tanto gli scrivo pure io, l’ultima volta quando lui aveva scritto di una penna stilografica che aveva perso e che gli era tornata in sogno, dandogli un sentimento di angoscia.
Io allora gli ho scritto di quando avevo perso io la stilografica mia, io che non perdo mai niente.
Lui mi ha risposto, come sempre fa lui, dopo un numero preciso di giorni, con poche parole, ma tutte gentili e personali.
Che ne so, mi chiama per nome, mi dà del lei, come io faccio con lui, e mi dice che spera che io abbia fatto cose belle.
Lo Scienziato-Umanista è uno loquace e facondo. Pubblica un bollettino stracolmo di considerazioni la sera tardi.
Se io già dormo, mi è capitato alle quattro del mattino di dare un’occhiata al telefono per vedere che cosa aveva buttato giù.
L’ultima cosa bella che ha scritto, oltre alla faccenda dell’università che potrebbe pure non riaprire mai, è una nota a proposito del tracciamento del virus: «Nuova Zelanda, sarà chiesto ai cittadini di scrivere un diario cartaceo invece di usare l’app».
Trovo l’idea fantastica.
Anche qui, sai come farebbe bene a un sacco di gente, che terapia sarebbe, per tutti, la scrittura.

Pe fà sti versi ci ho studiato tanto:
Poveri versi miei buttati al vento!
Si voi nun l’apprezzate er mi tormento
Ve do la bona sera e più nun canto.

Io sono a Roma nata e a San Pietro battezzata.
E ci tengo.
Tanto mia madre, la piemontese venuta a vivere qui e mai scesa a patti con la città, è un pezzo che è mancata.
Fosse stata ancora viva e l’avesse saputo, che ci tenevo a Roma, si sarebbe risentita.
Ieri sera mi sono accorta della fioritura del limone.
Stamattina mi sono accorta che oggi è il Natale di Roma.
Io non lo so, come succedono le cose. Mi sono messa al computer e ho scritto questa cosa che leggete.
Che poi dentro ci stiano gli stornelli romani e che ci stiano proprio oggi, ormai è successo.
La scrittura succede così.
Mica sai quello che scrivi.
Mica sai lei dove ti porta.

Chiudo con l’incipit di Mamma Roma di Pasolini, con una Magnani che, quanto a stornelli, lei sì, che la sa lunga.