Scarpe con suola in legno e ferro (di cavallo), Seconda guerra mondiale

Le ore passavano lentamente; non avevamo niente da fare, e non facevamo niente

Simone de Beauvoir, L’età forte

Al filo diretto della rassegna stampa la giornalista parla con una donna con la voce rotta dal pianto.
Lei le dice che si guadagna da vivere facendo i servizi a ore, che non ha un mezzo proprio e che ora ha paura a prendere l’autobus.
La giornalista ci pensa su un attimo, poi le risponde che le pulizie domestiche non sono servizi indispensabili.
Se lo dice lei.
Il conduttore si rivolge al ministro, donna, delle Pari Opportunità con una domanda che a me non sembra scema: come fare con la baby sitter, la colf e la badante, che vengono da fuori casa e che quindi possono portare contagio.
La signora ministro risponde che tanto sono tutte in regola e che pure con loro si rispetta la distanza di un metro.
Dopo l’eros via chat o WhatsApp, che può pure avere il suo appeal, insomma, dipende da chi c’è dall’altra parte, adesso anche la cura dei piccoli e degli anziani senza contatto fisico.
Per le pulizie, medesima cosa.
Adoro le donne in professione, anche quando sono di fronte a interrogativi metafisici che stenderebbero un bufalo, sono capaci di tenere i piedi ben piantati per terra.

Ma fatemi il piacere.

Lei ha un senso del corpo molto forte.
Per una donna avere il senso del corpo è importante. Te lo danno alcuni abiti, alcune attività fisiche e poi, più di tutto, te lo dà un uomo.
Lei fa arrampicate in montagna con un’attrezzatura primordiale, espadrillas e una sacca con dentro banane e brioche. Con l’aiuto «du Guide Bleu» e avendo per sola compagnia una sveglia, dorme dappertutto e arriva a coprire anche quaranta chilometri al giorno.
Ha conosciuto lui quando è entrata alla Sorbonne.
Finalmente un uomo che è intellettualmente alla sua altezza.
Lei è une grande amoureuse.
Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre sono sepolti insieme in una tomba che più sobria non si può, a Parigi, nel cimitero di Montparnasse.

La tomba di Sartre-de Beauvor al cimitero di Montparnasse

Però lei ha al dito l’anello di un altro (per la precisione, quello del «suo sposo americano», ma casomai torniamo a parlarne).
I due, Sartre-de Beauvoir, hanno condiviso la vita ma hanno smesso di condividere il letto dopo un paio di anni dal loro incontro (e parecchi tentativi).
Gli studiosi, in particolare donne, per anni ci hanno menato per il naso con la storia dell’amore necessario e di quelli contingenti.
Nel senso che la loro relazione amorosa era quella indispensabile e le altre relazioni lasciavano il tempo che avevano trovato.
Sarebbe bastato, basterebbe leggere la corrispondenza di lei con questo e con quello per capire che le cose stavano diversamente.

Simone

«Sartre brillante dappertutto tranne che a letto», ho già avuto modo di dirlo e poi tutta una serie di innamorati con i quali lei vive storie appassionate che non sempre traspaiono dalla sua complessa narrazione autobiografica.
Altro che amore necessario.

«Non mi succederà; non la guerra, non a me».
All’inizio dell’estate 1939 la speranza stava ancora tutta là.
Lui è più lucido di lei, vede più lontano.
«Ma come prepararsi all’orrore? mi dicevo; inutile pensare di addomesticarlo; userò le mie forze invano; in tutti i modi mi toccherà improvvisare. Deliberatamente bloccavo la mia immaginazione».
(Questi medesimi pensieri mi attraversano la mente di continuo in questi giorni).

Prima che la notte scendesse sulla terra e nelle loro ossa, Sartre e de Beauvoir passano qualche giorno in vacanza, prima a Juan-les-Pins, in Costa Azzurra, poi a Carcassonne, in Linguadoca.
Mangiano, bevono, salades niçoises, pesce freddo, aïoli, vino bianco.
L’ultimo giorno, a Foix, Midi-Pirenei, si offrono un pranzo «enorme – antipasti, trota, cassoulet (un piatto a base di fagioli e carne), foie gras, formaggio e frutta, con un vino del posto».
Alle 19:30 prendono il treno per Tolosa, pensando poi di rientrare a Parigi con un rapido. Il primo è stracolmo. Aspettano due ore e mezzo in una stazione piena di «folla inquieta».
«Quelle tenebre annunciavano un cataclisma».
Partono con il treno successivo, lottando per avere un posto.

A Parigi, agosto, tutto è chiuso: ristoranti, teatri, negozi.
Loro hanno poco più di trent’anni, la loro vita comincia a disegnarsi.
Qualcosa la confisca loro brutalmente.

«E poi un mattino, la cosa arrivò».

Sopra Saint-Germain-des-Près c’è un bel chiaro di luna, sembra una chiesa di campagna.
Ma al fondo di tutto e dappertutto, c’è un orrore inafferrabile: «non si può niente prevedere, niente immaginare, niente toccare».
Sartre parte per Nancy, è arruolato nel servizio di meteorologia.
Nei primi giorni di guerra la gente fa la fila per farsi consegnare delle maschere a gas.
Tutte le normali attività rallentano, i caffè chiudono alle ventitré, i locali notturni non aprono affatto.
Le distanze si accorciano: «un chilometro da fare, sono sempre dieci minuti occupati».

La guerra è dichiarata il 4 settembre. In Inghilterra alle 11:00 del mattino, in Francia alle 5 del pomeriggio.

Alle prime sirene dei bombardamenti si vedono donne con della biancheria intorno alla testa, portata a mo’ di maschera.
Alcune smettono di truccarsi e di pettinarsi.
Simone legge il Journal di Gide del 1914. Le analogie con il momento presente, quello di lei, sono molte.
Lei compra Marie-Claire. La parola guerra è pronunciata una sola volta, ma tutto il numero della rivista si è adattato.

Una puttana «se fait le visage» a un lavandino del Dôme e dice: «Non metto il rimmel a causa dei gas».

Con un’amica lei acquista della polvere colorata, che viene sciolta in un liquido composto di acqua, olio e ambra solare. Con esso dipingono i vetri per non far filtrare la luce.
Le loro finestre sono «meravigliosamente blu».
I giorni trascorrono, il tempo non ha più valore.
«Impression d’immense loisir» e il loisir è ogni attività legata ai momenti liberi. Tutto loisir, nessun loisir.
Ogni tanto ci sono quasi attimi di gioia, ma è una gioia senza avvenire.
Simone comincia a non avere più soldi.
Passa anche qualche giorno in Bretagna, mangia pane e cioccolato per risparmiare sul pasto.
La spiaggia di Beg-Meil ha sabbia bianca e scogli. Lei fa un bagno e l’acqua fredda la brucia voluttuosamente.
È il 23 settembre.
(Io sono andata in Bretagna in agosto e non ho mai pensato di mettere un solo dito del piede in mare per quanto faceva freddo).
Nel porto di Douarnenez, di fronte al chiaro di luna che trionfa sul tramonto del sole, con delle ragazze che ridono e dei ragazzi che cantano sul molo, Simone si mette a piangere.
Sembra proprio una sera di pace.

Al liceo dove lei insegna c’è sovrabbondanza di insegnanti donne.
Fa lezione ad alcune ragazze, tutto le sembra «irreale e assurdo».
Ma a tutto ci si abitua, anche alla guerra.
A Parigi i locali riaprono, seppure clandestinamente.
Lei si mette a lavorare a un romanzo, vede delle persone, ogni tanto riesce a incontrare Sartre.
Lui sostiene che non ci sarà battaglia, «che sarà una guerra moderna, senza massacro, come la pittura moderna è senza soggetti, la musica senza melodia e la fisica senza materia».
Insomma, la vita senza.
Lei tiene un diario.

Gli uomini cominciano ad avere sempre più voglia di donne.

È, quella, un’esistenza «monotona fino all’austerità».

Parigi è occupata dai nazisti. Che sono tutti molto alti, molto biondi, con la facce rosa.
Ammazzare il tempo.
Lei impara ad andare in bicicletta.
Nella città regolata dal coprifuoco, lei è imprigionata nella sua camera quando il cielo è ancora chiaro.
Quando comincia la carestia, sulle tavole ricompaiono le rape, tipiche del tempo di guerra.
Ogni volta che ritorna un amico, è bello vederlo, dopo tutti quei mesi passati in compagnia esclusivamente femminile.
Lei scrive. Scrivere le sembra un atto di fede, un atto di speranza.
Manca il carbone, la sua camera è gelata, lei scrive al caffè, cerca un po’ di calore: il Dôme, il Flore.
(Miei pellegrinaggi al Dôme, al Flore).

Sartre, fatto prigioniero il 21 giugno del 1940, il giorno del suo compleanno, trasferito in Germania, evade dopo nove mesi. Ha un falso certificato medico che parla della sua cecità a un occhio e un documento d’identità contraffatto dove è dichiarato un civile.
Lui è diventato moralmente rigido, la rimprovera per il poco tè che lei compra al mercato nero.
Lui si mette sul serio a fare politica.
Ci sono anche delle vacanze, ma materialmente la vita si fa sempre più difficile.
Simone si procura pentole, casseruole, stoviglie, prende all’Hôtel Mistral una camera con cucina e si mette a cucinare per tutti, per loro due e per gli amici, che stanno in uno stato di mezza miseria.
Per tre anni lei trasforma in mania questa necessità: sta attenta all’uscita dei tickets, cerca nelle strade qualche acquisto libero da fare, in quella caccia al tesoro, trovare una barbabietola o un cavolo è un colpo di fortuna.
Sartre può pure saltare i pasti.
Lei  invece ha fame spesso.
Ritrova uno dei suoi schemi preferiti dell’infanzia organizzando qualche pacco di pasta, di legumi secchi e di fiocchi d’avena in una rigorosa alchimia culinaria.
Comprende «l’avarizia e le sue gioie».
Nel deserto silenzioso che c’è fuori, lei è nella sua camera: scrive, sul fornello c’è una zuppa di verdura che manda un buon odore, il fischio del gas le tiene compagnia.
Non è una casalinga ma della casalinga intuisce le gioie.
Sartre soffre la mancanza di tabacco e raccoglie per terra mozziconi di sigarette.
Vestirsi è un problema. Le donne cominciano a indossare i pantaloni, che tengono più caldo.
Lei, che si era divertita a occuparsi della sua toilette in passato, non vuole più complicarsi la vita futilmente e cerca solo di conservare un minimo di decenza.
Le scarpe hanno suole di legno.
Manca l’elettricità, i parrucchieri lavorano irregolarmente, arriva la moda dei turbanti, che sono cappello e pettinatura nel medesimo tempo.

Simone con il turbante

In questa fatica di stare al mondo, in questa guerra, loro continuano ad avere il gusto del tête-à-tête, considerando la conversazione fra più persone mondana e insipida e «perfino faticosa».
(Sono del tutto d’accordo).
Ogni tanto arrivano dei pacchi di alimentari inviati da un’amica generosa. Ma i trasporti sono lenti.
Simone ripulisce accuratamente l’arrosto di maiale «dalle piccole cose biancastre che si muovevano».
La fame ha la meglio sul disgusto.
Lei lava vigorosamente con l’aceto pezzi di bue maleodoranti; li fa cuocere per ore con spezie dall’aroma violento; si mortifica quando Sartre respinge un piatto; una volta lui la sorprende mentre taglia via la metà di un coniglio.
Inorridisce, afferra la bestia putrida e morta e scende di corsa a buttarla nella spazzatura.
Quando Simone si trova a dover fare un trasloco, affitta una carriola e ci carica tutto sopra.
C’erano delle cose buone in quell’epoca: erano state spazzate via tante convenzioni, timidezze, cerimonie; «i bisogni erano ridotti alla loro verità»; c’era un estremo ascetismo.
Mentre le restrizioni si aggravano ulteriormente, si moltiplicano i tagli della luce, l’ultimo métro parte alle 22:00, diminuiscono gli spettacoli al cinema e a teatro, ecco che si comincia a spargere la notizia di un arrivo imminente degli alleati.

Ma, dopo quattro anni di occupazione tedesca e senza attendere il loro arrivo, nell’agosto del 1944 Parigi si solleva.
Lottano tutti, uomini della Resistenza e civili e per otto giorni i combattimenti infiammano le sue strade.
Il tricolore è issato sull’Hôtel de Ville.
La città si riempie di barricate.
Il bordone di Notre-Dame suona a distesa.
È la Liberazione.

La Libération

In tutti gli anni di guerra c’era stata, ben presente, l’idea della morte.
Accoglierla nel proprio cuore «senza scandalo» voleva già dire sfidarla:
bisogna accettare di morire quando non resta nessun altro mezzo per salvare la propria vita; la morte non è sempre un assurdo incidente solitario; certe volte essa crea con gli altri dei legami viventi.

Ditemi voi se nei nostri giorni timorosi di contagio non si agitano nel cuore di ciascuno di noi questi medesimi sentimenti.