Voi avete la lavastoviglie?
Se non ce l’avete, potete leggermi ugualmente.
Se però ce l’avete, leggetemi sul serio.
Vi chiedo se la usate.
Se usate la lavastoviglie.
Sì, perché spesso mi sento dire ma a che ti serve; io la uso solo per metterci i piatti, quelli che non uso; la mia è rotta e ancora non ho trovato il tempo per chiamare il tecnico.
Non hai trovato il tempo.
Laddove io, quando ne ho bisogno, comincio letteralmente a circuirlo, il tecnico, appena lui viene a casa mia mandato dalla ditta, io lo aggancio, riesco a farmi dare il suo numero privato, gli dico quelle cose alle quali gli uomini sono così sensibili, lei mica vorrà lasciarmi in questo stato, lei sì, che sa come fare felice una donna.
Il fatto è che io la uso, la lavastoviglie.
Ce l’ho e la utilizzo.

La utilizzo nel senso che mi capita spesso di mandarla anche due volte al giorno, allora uno mi chiede ma siete dieci a casa, ma per carità, ma che bisogna essere dieci per fare un lavaggio, in realtà, a conti fatti, basta cambiare un po’ spesso le stoviglie in tavola, un po’ spesso in che senso, mah, diciamo tre forchette e tre piatti per una cena frugale, frugale nel senso che non c’è la pasta, insomma, la lavastoviglie c’è e deve andare.
Fra l’altro, se non la mandi, quella comincia a funzionare male.
La vita è fatta come se fosse sempre fatta di scarpe: se non le usi, rimangono importabili, la tomaia non si ammorbidisce, non riesci mai a farci amicizia.
Se le usi, ovvero se le scarpe le indossi, le scarpe si consumano, e grazie tante, mica ci avevo mai pensato.
Non vi sto a dire che ho pensato quando qualcuno mi ha detto che mangiava nei piatti di plastica per fare una sola lavastoviglie al giorno.
Ma manco al picnic, uno al picnic si porta le stoviglie migliori.
E pure i calici di cristallo.
Vuoi mettere.
Che faccio per la mia lavastoviglie.
Tutto.
Detersivo, sale, brillantante, che consuma come una Ferrari consuma altro.
Pulizia a fondo mensile.
Se penso a quanto tempo non ho avuto la lavastoviglie perché il suo posto era occupato dalla cassetta del gatto.
E con tutto l’amore per il mio felino, una femmina nera di nome Perlascura, in cuor mio le ho sempre rimproverato di essere meno utile della lavastoviglie.
Da quando fu casa nuova, cassetta ed elettrodomestico poterono starci.
Dunque, trasecolo davanti a coloro che la lavastoviglie non ce l’hanno.
Educatamente.
Ognuno si guasta la vita come meglio ritiene.
Ma quelli che ce l’hanno e non la usano mi lasciano perplessa.

Al momento sto facendo, fra le altre cose e tutto on line data la pandemia, due corsi ai quali tengo tantissimo.
Uno è la mia prima creatura.
L’altro è la creatura più recente.
E come sempre accade con la prima e l’ultima delle filiazioni, provo nei loro confronti sentimenti caldi di attenzione, cura, riconoscenza.
Dunque, mi sono posta il problema dei microfoni aperti all’inizio e alla fine, di quei pochi secondi nei quali, proprio come fa il diavolo, ci mettono la coda la distrazione, la scarsa conoscenza del mezzo, il caso, la vita che, e quando le passa il vizio, si infila dappertutto, suona il telefono di uno, l’altro dice ma sbrigati ché comincia, quello di passaggio sta parlando di altro e lancia un commento che si sovrappone alla mia prima immagine.
Siccome alle creature ci tengo, ho scritto una mail e l’ho spedita ai partecipanti e ho detto loro adesso ne parliamo, ho fatto una lezione a microfoni (i loro) silenziati prima dell’inizio e mi è sembrata freddina, ho detto allora io faccio così, vi preparo un Sorbetto registrato, dunque, perfetto, niente lapsus, niente errori che succedono, niente voce che sfona (e succede pure quello), lo mando quando è tutto a posto, voi l’ascoltate a microfoni chiusi.
È tutto un po’ industriale, siete contenti?
Apriti cielo.
Che gusto.
La mattina è cominciata con una mail di risposta, adorabile «poiché tu entri nelle nostre case attraverso, lasciami dire, un elettrodomestico…», Alessandra, che farei senza di te, sempre presente, generosa, buona fino all’osso, fino alla sopportazione di tutto quello che ti circonda.
Il computer come elettrodomestico.
Mica ci avevo mai pensato.
E finalmente, ho capito.
Ho capito perché.
Perché alcuni colleghi in riunione via Teams con il tecnico hanno dichiarato audacemente che avrebbero fatto lezione con il telefono, visto che il loro pc da mesi era rotto (come si possa fare una lezione con il telefono, qualcuno dovrà spiegarmelo); perché un computer era definito obsoleto dal suo stesso proprietario, che chissà dove aveva sentito quel termine; perché quell’altro non si capiva più che faceva, lo schermo era diventato tutto celeste; perché dovevo aumentare io il volume, che figuriamoci se non avevo controllato mille volte, dato che il loro tablet non ce la faceva a sentire tutto.
Ecco perché.
Svelato l’arcano.
Il computer è più o meno come una lavastoviglie, di cui uno capisce l’importanza quando ha a cena i famosi dieci ospiti e, per il pc, quando ha una lezione che vuole seguire.
Bontà vostra.
Sto da stamattina fra mail che mi deliziano, chi mi scrive silenziali tutti e facci sentire la lezione; chi mi dice ma no, è bella la cacofonia iniziale dei saluti, è vero che essi sembrano gli strumenti dell’orchestra che si accordano prima che cominci il concerto; chi mi segnala fatti ben più gravi di quelli capitati a noi, studenti che insultano i professori, professori che insultano gli studenti, impiegati che imprecano contro il superiore, superiore che impreca contro gli impiegati, tutti a microfoni aperti che però nessuno pensava fossero tali, e lo fanno anche i più giovani, mica solo quelli che col digitale hanno poca confidenza.
Insomma, un universo di gente che considera il computer più o meno come una lavastoviglie, che mica è che funzioni poi del tutto, anzi, un sacco di volte non c’è il sale e nella migliore delle ipotesi l’unico programma che si manda è sempre il solito, quando invece di programmi è fornitissima, la poveretta, e ci prova, a dirti posso lavare le tazze della prima colazione e il tegame dell’arrosto, ma in modo diverso, per non dire di quanto ti potrei lavare bene i piatti della cena e anche le fruste del frullatore con le quali hai montato il bianco dell’uovo.
L’equivalente mi viene in mente che sia avere una macchina a otto marce (ne ha cinque la mia, che è una macchinetta) e usarne solo tre.
Avere una casa di trecento metri quadri e stare stretti stretti in un angolo.
Essere dotati di un cervello e utilizzarlo solo pochissimo (questo, poi, succede di continuo).
È una forma di avarizia, hai i soldi e non li spendi, ma non è che li investi, li infili nel materasso e poi succede che te li ritrovi fuori corso; è che hai bellissimi calici di cristallo e aspetti l’occasione che non arriva mai per utilizzarli; è il vestito della festa che non vuoi consumare.
È che allora sei d’accordo con me: la lavastoviglie e il computer sono dei totem, dunque stanno lì e tu li contempli.
Così come contempli i soldi, il cristallo, gli abiti.
Il cervello.
Ma non ci siamo.

Perché io i totem li uso tutti.
Perché per me è sempre domenica.

Anche perché apprezzo il servizio della lavastoviglie e la magia del computer.

Ora non mi resta che convincere un certo numero di persone: che computer è bello e che lezione via computer è miracolo di tecnologia.

E che pure lavastoviglie non è male.