Paolo Uccello, San Giorgio e il drago, 1435

Questo è quello che rimane di un post che stavo scrivendo e che ho deciso di cancellare.
Avrei voluto esprimere una mia qualche solidarietà alla squadra di calcio inglese, battuta dall’Italia agli Europei, perché gli inglesi mi stanno simpatici e non perché non sono contenta per l’Italia.
Ho condotto una mini inchiesta, una cosa fatta in casa, niente a che vedere con la Doxa, però con un campione rappresentativo non meno di quelli loro.
Nella mia mini inchiesta ero sicura di trovare persone con il mio medesimo stato d’animo, persone sensibili alla sconfitta dell’avversario, persone che si mettevano nei panni dell’altro.
Ebbene, solo il 4% di coloro che ho interpellato ha dimostrato un atteggiamento simile al mio, una percentuale irrisoria, per quanto corroborata da ragionamenti articolati e completi.

Data la situazione, mi sono chiesta perché ci fosse tutto questo odio nel calcio.
Ho digitato la domanda sulla barra di ricerca di Google.
Mi si sono aperti dei mondi, spesso simili a nidi di vipere.
Ho trascurato i siti approssimativi, brutti come grafica, percorsi da esaltati e mi sono concentrata su siti dalla grafica ben fatta (un sito ben fatto costa denaro, quindi se ne ha cura) e dai contributi ben scritti.
Ho saltato tutto il turpiloquio perché credo che esso sia utilizzabile solo se stai scrivendo un romanzo neo neorealista e se sei alle prese con i dialoghi.
Se invece scrivi per esprimere il tuo punto di vista, il turpiloquio è una scorciatoia inaccettabile, prova a trovare la giusta verve da dare al discorso e vedrai che scriverai meglio.
In estrema sintesi, questo è quello che ho capito da quanto ho letto.

Non sono un’ingenua. Non sono una inesperta.
Se la valanga di odio che mi ha sommersa mi ha stupita è perché non ero al corrente della sua esistenza.
Tutti i commenti che ho letto datavano a qualche anno fa, niente a che vedere con la cronaca: dunque, siamo davanti a un sentimento universale e perenne.

I più misurati, a proposito dell’odio fra tifosi avversari, citano vecchie storie, campanilismi, gemellaggi, torti subiti.
Un architetto sottile e intelligente scrive: «Credo che esista un’ipocrisia insopportabile su questo tema. Se tifo Inter…odierò il Milan in primis, e tutte le altre in una mia classifica personale. Se tifo Milan…l’inverso.
Juve, Roma, Lazio, Samp, Napoli…idem.
Quelli del Boca odiano visceralmente i “millonarios” del River.
Barça e Real si odiano che più non potrebbe essere possibile.
Tottenham e Arsenal si odiano poiché entrambe del Nord di Londra…».
E chiude con questa dichiarazione, che non fa una piega: «una società che proibisce l’odio e ordina l’amore, rende l’odio un atto di libertà».
Ero io così stordita da non saperlo.
Ero io ad avere il motto «forgive and forget», se non altro perché ritengo che l’odio faccia male soprattutto a chi lo prova.
Un romanista su un altro sito scrive una cosa illuminante, partendo dal fatto che odia i laziali (fratelli coltelli): «Odio l’INTER perché diversamente laziali. E i laziali diversamente interisti. Odio il NAPOLI perché non puoi non odiarli. Odio il GENOA perché diversamente napoletani. E i napoletani diversamente genoani. Odio la FIORENTINA perché vedono in noi quello che non saranno mai, perché odiano Roma. E allora noi schifiamo Firenze. Odio l’ATALANTA perché ODIO BERGAMO».
Testo vivace, strutturalmente dadaista, non privo di trovate, che ho un po’ ridotto per i (miei) motivi suddetti, ovvero perché qui non c’è spazio per il turpiloquio.

I motivi dell’odio non si capiscono, evidentemente loro li danno per scontati e io non ci arrivo.
E mi mettono a disagio.
Questa è la definizione di odio che dà la Treccani: «Sentimento di forte e persistente avversione, per cui si desidera il male o la rovina altrui; più genericamente, sentimento di profonda ostilità e antipatia».

Penso ad Achille (Iliade, Libro XXII, vv. 260 e sgg.), che quando Ettore, nel duello finale, lo invita a non sconciare il suo corpo in caso di vittoria, gli risponde che non ci pensa per niente, perché come non si fanno patti fra uomo e leone, né fra lupo e agnello, «così mai potrà darsi che ci amiamo io e te».
(Però quello era Achille. E quell’altro era Ettore).

Penso a Caravaggio, uno sciagurato, tormentato, fumantino.
Uno disordinato, irregolare, incline al sanguigno.

Caravaggio, David con la testa di Golia, 1610

«Io sono qui all’ufficio perché sono stato assassinato da Michelangelo da Caravaggio», dichiara tale Mariano Pasqualone il 29 luglio del 1605.
Strano, che poi l’artista ne abbia ammazzato solo uno,  fra l’altro in una lite per la pallacorda, praticamente l’equivalente di un accoltellamento fra tifosi, incline com’era a venire alle mani.
Però, poi, quando dipinge la sua opera finale, si ricorda di dare a Golia i suoi lineamenti e di imprimere sulla faccia di David una tristezza desolata, che la dice lunga sulla compassione per l’avversario, che era proprio un nemico.
E non devo stare a ricordare che David ne avrebbe avuti, di motivi, per sentirsi trionfante e per infierire su quella testa: lui è il pastorello (che diventa re di Israele) che si offre per combattere contro il campione dei filistei, che era alto sei cubiti e un palmo (facendo la conversione, tre metri e venticinque centimetri) e che era armato fino ai denti.
Il ragazzino lo affronta praticamente a mani nude, con la fionda e un sasso che teneva nella bisaccia. Lo centra in fronte, quello cade, lui gli prende la spada e gli taglia la testa.
David è una bellissima metafora della virtù e del talento, della vittoria del bene sul male. È anche la prefigurazione di Cristo.

Chiudo qui e tornerò a occuparmi di calcio solo ai Mondiali.
Ma sarò più prudente, ovvero non farò più domande a nessuno perché ormai ho imparato quali sono le risposte.

Ma, del post cancellato, mi rimane qualche nota, derivata da cose e cosette che mi sono state dette o che ho letto, in alcuni casi pure corbellerie, non prive di involontario umorismo.

  1. Non è vero che l’inglese sia una lingua facile e semplificata e che il mondo dovrebbe, in alternativa, parlare il latino. L’inglese è una lingua complessa, profondamente diversa dall’italiano. Entrambe indoeuropee, l’italiano appartiene alle lingue romanze, quindi neolatine, l’inglese è invece una lingua germanica. È la lingua di Shakespeare e di Keats, i primi due che mi vengono in mente. E, per la sua natura sintetica, è la lingua cui io chiedo soccorso quando, per esempio, non capisco un autore raccontato in italiano. È sempre accaduto che, per la chiarezza dell’inglese, io, finalmente, sia arrivata a un buon livello di comprensione.
  2. A orecchio e a una prima occhiata, coloro che ritengono che l’inglese sia una lingua semplificata, inadatta a esprimere concetti profondi, parlando usano circa 600 (seicento) parole. Shakespeare ne usava 25.000 (venticinquemila).
  3. Gli inglesi non sono cretini perché guidano a sinistra. La sinistra la tenevano tutti, ci siamo spostati noi, basta vedere i treni, che continuano a correre da quella parte.
  4. E, a proposito di treni, è molto divertente una delle ultime che ho sentito: la prima tratta ferroviaria è stata la Napoli-Posillipo.

    Salvatore Fergola, Inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici, 1839

    Casomai la Napoli-Portici, come illustrato dal dipinto di Salvatore Fergola, una specie di linea giocattolo, lunga solo 8 km, costruita per il godimento della famiglia reale.
    La prima linea ferroviaria venne inaugurata in Inghilterra nel 1825 ed era la Stockton-Darlington ed aveva già «le caratteristiche che sono tipiche della ferrovia anche oggi: percorso su propri binari, trazione meccanica, attrezzature e segnali per il traffico, servizi per i passeggeri». Inoltre. «Nel 1843 in Inghilterra erano già in esercizio 3.280 km di linee ferroviarie e nel 1860 la rete aveva raggiunto i 16.000 km. Nel 1875 era già stato costruito più del 70 per cento della rete odierna».
    George Stephenson progettò la sua locomotiva, che si chiamava Rocket, nel 1829.

    La Rocket di Stephenson

  5. Volendo, sono preparata anche sugli inglesi che in finale si sono tolti la medaglia. Pare che non siano stati gli unici, visto che, come hanno elencato quelli bravi, anche Totti, Conte e Ronaldo si sono comportati in modo così inelegante in altre situazioni. E sempre animati da analoghi sentimenti.
  6. Ancora volendo, fra le tante cose ho letto su una rivista storica di sociologia un paio di saggi sugli ultrà, molto ben scritti e molto ben documentati, dai quali si capiva ciò che mi aveva già detto una delle persone del mio 4%: che il calcio è lo sport più vicino alla guerra che ci sia. Che è appartenenza, droga, difesa del territorio.
    E poi che è passione e cuore.
    Questo lo dice un ultrà. E se lo dice lui, sarà senz’altro vero.

Chiudo con la citazione da Shakespeare che ci fece imparare a memoria in quinto ginnasio la professoressa di inglese. Non ero mai stata a Londra, morivo dalla voglia di vedere la città che per me era il luogo di ogni libertà, di ogni eccentricità e di ogni insularità, ovvero il luogo di ogni possibile.
Questa intuizione sarebbe stata confermata in tutti i soggiorni che ho fatto da quelle parti, dalla mia prima tesi, dedicata a un artista inglese, da tutto quello che ho fatto, letto, ascoltato, vissuto in vita mia.
Ed è questo il motivo perché gli inglesi mi stanno simpatici e perché, dunque, mi dispiace vederli trattati così male, calcio a parte, perché di calcio non parlo più.
Promesso.

E questo è lo speech di John of Gaunt dal Riccardo II  di William Shakespeare, che non traduco perché tanto l’inglese è una lingua semplice e semplificata. Ho dimenticato di dire che si impara in mezz’ora (beati voi).

This royal throne of kings, this sceptred isle,
This earth of majesty, this seat of Mars,
This other Eden, demi-paradise,
This fortress built by Nature for herself
Against infection and the hand of war,
This happy breed of men, this little world,
This precious stone set in the silver sea,
Which serves it in the office of a wall,
Or as a moat defensive to a house,
Against the envy of less happier lands,
This blessed plot, this earth, this realm, this England.

L’illustrazione di apertura sta qui perché Paolo Uccello raffigura San Giorgio, dal 1222 patrono dell’Inghilterra.
Croce compresa.