Malle Courrier appartenuto a Monsieur Charles Beistegui, 1885

L’altro giorno uno mi ha dato della radical-chic.
Sullo chic, ci posso pure stare.
E sul radical che non ci troviamo.
Il tutto perché gli avevo detto che se lui avesse continuato a chiedermi: a): se stavo in vacanza; b): se ero stata in vacanza; c): se sarei andata in vacanza, mi sarebbe venuta una crisi mistica.
Ho detto mistica invece che isterica perché era più chic.
Quello si è risentito perché ha intuito che gli stavo dicendo altro: per esempio, che era uno con pochi argomenti di conversazione.
Miseri, banali e a me sgraditi.

La scorsa settimana stavo dal mio medico di riferimento.
Ha telefonato il fratello, che è il mio odontoiatra.
Saluti, esclamazioni di gioia, roba così.
Tutto reciproco.
I due hanno chiacchierato un po’ e quando il mio medico è tornato a occuparsi di me mi ha detto che il fratello, che stava a Nettuno,  andava a riposarsi in Grecia.
Ora, posso capire che Nettuno sia un posto stressante, ditelo a Maria Goretti, però, pure la Grecia non scherza.
Quando sento che uno sta a Patmos e che ci vogliono due giorni di traghetto per raggiungerla, penso sempre che Giovanni è andato lì a scrivere l’Apocalisse perché un posto più catastrofico non era riuscito a trovarlo.

Non so dove sta Formentera.
Non mi ricordo dove hanno messo Santorini.
Il Salento mi è indifferente.
Ho visto tanti di quei video e di quelle foto che arrivavano da Favignana e da Pantelleria, che entrambe mi sono venute a noia.
E non sono mai stata nell’una e nell’altra.

E non ho in programma di recarmici.

En bref.
Come sono andate le vacanze?

Qui a noi non interessa come ho trascorso il mese di agosto, ovvero questa situazione contingente.
Che è, appunto, tale, dunque, accidentale.
Quindi destinata a non ripetersi.
Almeno mi auguro.
Qui a noi interessa la dicotomia fra lavoro e tempo libero, quando e come si è presentata e che cosa significa.
Ma procediamo con ordine.

Sto facendo dei lavori in casa e, ancora una volta, riprendo il libro perfetto per la circostanza: La maison en chantier,  ovvero La casa in cantiere, che ha come sottotitolo Elogio dell’intonaco, della polvere e del barattolo di vernice.
La copertina alla Magritte dice tutto della dimensione del sogno che ci troviamo dentro.

L’autore è Christine Brusson. Dico autore e non autrice perché lo dicono loro. Siamo nel 2009 e in francese compare ancora la parola auteur e non auteure.
C’è anche una riflessione de «Le Figaro» che suona così: “L’offre est en effet pléthorique. Faut-il les appeler «auteure», «autrice», «auteresse» ou «écrivaine»? Pourquoi ne pas conserver le mot «auteur» pour parler d’une femme?”.
Insomma: con tutta l’offerta di termini che c’è, perché non conservare la parola «autore» per parlare di una donna?
Poi, una constatazione: nel 2018, anno a cui risale l’articolo, ancora non era scoppiato il finimondo: l’asterisco, lo schwa, iel o ille, che sono gli ultimi nati di quell’ossessione contemporanea che vuole eliminare i generi.
Che invece sono così belli.
Ma, dicevano, l’autore: Christine Brusson.

Christine

Scrittrice, romanziere, vuole riconciliare il corpo e lo spirito.
(E chi non lo vorrebbe).
Lei ci riesce facendo «des chantiers», per sé o per gli altri, ovvero, occupandosi di rinnovare appartamenti, pratica filosofica che le dà la possibilità di «assentarsi dal mondo».
«Si impara a vedere le cose attorno a noi, a non disprezzare la vita ordinaria, a essere pazienti, a servirsi del proprio corpo per fare qualcosa di utile».
Lei trova sterile pedalare su una bicicletta da camera (sono d’accordo, radicalmente) e dice che lavorare in un cantiere è meglio di una psicoterapia.
«Quando si costruisce, ci si ricostruisce».
Sorprendente, molto ben scritto, formato da capitoli brevi come paragrafi, questo «trattato tonico e paradossale» ha alcune mie note a matita, che cominciano con un elenco di date, l’ultima delle quali è «agosto 2021».
Adesso.
Il libro non è stato mai riposto del tutto in una delle mie librerie. Esso sta sempre in giro, di solito appoggiato su uno sgabello insieme ad altre opere a me care.
Il senso è che la casa è sempre in cantiere e che va tenuta d’occhio.

La Table des matières, che è poi l’elenco dei titoli dei capitoli/paragrafi, è ricca di spunti e di inventiva.
Qui e là:
L’abito da cantiere
Comprare una casa
L’antico e il moderno
Vocazione
La stanchezza
Regime alimentare
Eros e cantiere
Il mio doppio maschile
Le scale
Resistenza
Polvere
La casa della felicità
Riposarsi
Dell’inferiorità della donna (dovremo tornarci, nota mia)
Vertigine dei tetti
Il disprezzo del lavoro manuale
Le mie case
Aristocrazia dei corpi

A pag. 86 c’è il capitolo/paragrafo intitolato Travail et loisir, ovvero Lavoro e tempo libero.
Vediamo di che parla.
L’autrice (l’autore) ha passato l’infanzia in campagna, una campagna povera e arcaica. La vita allora era fatta di foreste che affogavano nella nebbia e nelle pozze d’acqua, come in un film di Tim Burton.
E poi c’era un fiume, origine e fine di tutte le cose.
La scuola fu una prigione.
Lei piangeva lacrime amare per l’obbligo di imparare, di leggere e di scrivere.
«Soprattutto di scrivere». Strano, perché lo fa così bene e immagino che abbia cambiato idea, visto che in un’intervista parla della scrittura come di un esercizio molto fisico nel quale bisogna tenere la distanza prima di poter approfittare del risultato, proprio come su un cantiere.
È stata la vita moderna a stabilire questa distinzione fra lavoro e tempo libero ed è riuscita con qualche trucchetto a farla entrare nei costumi.
(Per cui in questo momento dell’anno tutti parlano sempre e solo di vacanze).

«Ho sempre ammirato i selvaggi. Presso di loro non esiste questa distinzione assurda fra il lavoro e il tempo libero. C’è la vita, intera. Essi non conoscono niente d’altro. E la vita contiene tutto: il lavoro, la noia, la sofferenza, la gioia, il piacere di mangiare e di dormire, l’abbandono al piacere, il sogno. La vita è una e la vita è grande».

Parole bellissime, che vanno al di là di tutto.

Valigetta con etichette di alberghi, inizio sec. XX

Di Nettuno.
Di Formentera.
Di Favignana.
E pure di Patmos.
Dove comunque, vista la mia visione apocalittica dell’esistenza, mi piacerebbe andare.
E non è detto che non lo faccia, ora che tutti sono tornati o stanno per tornare dalle vacanze e io le mie non le ho fatte.