IL PROFUMO DELLA POVERTÀ

Il mio servizio resta infinito e di conseguenza impagabile…un’opera d’arte è inestimabile, non ha valore commerciale e dunque non si può pagare
(Gustave Flaubert, Lettera a George Sand, 4 dicembre 1872)

Käbi usava dire che dei soldi non le importava nulla, però facevano bene ai nervi
(Ingmar Bergman, Lanterna magica, 1987)

Avevo la libertà di proporre delle idee – senza mezzi. Bisognava che ci sponsorizzassimo da soli…«La povertà mette in tutte le cose il suo profumo» – parole di Santa Teresa d’Avila…
(Charlotte Perriand, Una vita di creazione, 1998)

Scena numero 1. Una volta incontro in Segreteria un collega regista che stimo. Ho visto il suo ultimo film e gli dico che la protagonista, che di mestiere è docente di Storia dell’arte all’Accademia di Belle Arti, vive in una casa irragionevole: un superattico al Vomero. Lui capisce che cosa intendo e si salva per il rotto della cuffia: «È ricca di famiglia».

Scena numero 2. In un film di cui ho dimenticato il titolo, comunque italiano, la protagonista insegna Italiano in un liceo. A un certo punto apre l’armadio e sono inquadrate trenta paia di scarpe di Sergio Rossi. A circa cinquecento euro al paio, fate voi il conto di quanto aveva speso la signora per vestirsi.

Scena numero 3. Nel film In the Cut Frannie è insegnante di Lettere e legge il mondo attraverso le parole. La sua casa è omologa alla mia, ci sono molti libri, una scrivania ingombra con una lampada snodabile, foglietti con appunti dappertutto, una cucina semplice con il lavello a due vasche. Lei conosce il detective Malloy, che sta facendo indagini su un efferato assassinio avvenuto nel giardino sotto casa sua.
Ci finisce a letto, impara da lui qualcosa che non conosceva.
In una narrazione metropolitana che ti prende alla gola, non c’è nessuna nota stonata riguardo alla vita di lei. In un grande film, è il caso di dirlo, tutti i conti tornano.

Nel cinema io potrei fare un sacco di cose, dalla sceneggiatura, alle ricerche storiche, fino a collaborare al repérage, che è la ricerca dei luoghi nei quali filmare o al décor, che si occupa della creazione degli ambienti.
Lo chef décorateur Emmanuel de Chauvigny, che ha cominciato a teatro negli anni ’70 prima di lavorare con registi insigni, dice che uno di loro, per la precisione Philippe Garrel, «prepara molto bene i suoi film, è qualcuno di iper preciso…ha un sistema molto coerente, vuole filmare delle persone che non hanno granché e pure noi abbiamo poco budget. Dunque ce n’è abbastanza! Ma io devo capire  che Garrel vuole filmare un certo tipo di poveri, degli intellettuali, degli artisti. Io non vado a fare un décor realista su “i poveri in generale”, vado a cercare chi sono i poveri di Garrel».
Più o meno, sono anch’io una dei poveri di Garrel.
Ecco dunque che mi faccio passare il capriccio di partire per andare a vedere una mostra fuori Italia; che rimando la cena il mese prossimo da Frantzén a Stoccolma, 3.200 corone (vini esclusi) del menu fisso, servito sia a pranzo che a cena, più il viaggio e l’albergo.
Mi secca?
Abbastanza.
Anche se penso che la vita non mi ha mai avuta e che mai mi avrà, continuo ad avere gusti sibaritici, ad aprire buone bottiglie, a comprarmi il siero per la pelle, ad andare in aeroporto con la mia macchina e a consegnarla al valletto che me la viene a prendere al terminal e che me la riporta quando rientro.
Se lo chiedo, pure lavata.

Rosa di ravanello, Frantzén, Stoccolma

Se sono sopravvissuta fino a ora, mi dico, continuerò a sopravvivere.
E a Stoccolma ci sono andata un numero sufficiente di volte e, tutto sommato, mi interessa poco o niente mangiare da Frantzén, per una come me, che vive di immagini, bastano le foto magnifiche dei loro piatti che trovo dappertutto.

Monete di cioccolato

Come sappiamo, dematerializzazione è un termine tecnico che indica la sostituzione di un bene tangibile con delle iscrizioni contabili. La dematerializzazione del denaro è avvenuta in più tappe.

Soldi del Monopoli

Siamo prima passati dalla moneta in metallo alla cartamoneta. La prime banconote furono create da John Law, Soprintendente delle Finanze di Luigi XV, agli inizi del secolo XVIII.
Poi ci furono gli assegnati, monete cartacee che funzionavano sulla base della fiducia e che furono introdotte per facilitare il commercio.
Poi le monete scritturali, in base alle quali il denaro veniva trasferito da un conto all’altro senza contante.
Alla fine del XX secolo arrivano le azioni e le obbligazioni.
E, più tardi, la formalizzazione della gestione del rischio: le fluttuazioni delle valute fra di loro hanno bisogno che il rischio sia gestito.
Non c’è più un pezzo di carta fra le mani, si vendono e si acquistano azioni che, a guardarle, sono delle righe scritte.
Il carattere del denaro è diventato virtuale e il luogo di scambio si è smaterializzato anch’esso perché la negoziazione avviene su internet.
E in internet chiunque può acquistare qualunque cosa, basta avere una carta di credito.
E con la carta di credito anche la nostra relazione con il denaro ha perso di consistenza ed è sempre più difficile capire di quanti soldi disponiamo, che cosa possiamo acquistare, a che cosa dobbiamo rinunciare.

La morale legata al denaro, già complessa, andrebbe ridefinita. Dovremmo interrogarci più spesso su che tipo di relazione intratteniamo con i soldi, se siamo avari, prodighi, cinici, ascetici, se indispensabile e necessario significano la medesima cosa, che cosa intendiamo per lusso e che cosa per superfluo.

La mancanza di denaro porta con sé sentimenti molteplici ma non tutti negativi.

È, certamente, accompagnata da timori, parecchi e diversi, però è anche una grande spinta a muoversi: se ti serve qualcosa, ti alzi e te la vai a prendere.

Giotto, La rinuncia ai beni, 1296

C’è chi la povertà la sceglie.
Francesco, figlio di un ricco mercante di stoffe, catturato in una battaglia, esce dalla prigionia con uno stato d’animo mutato e si spoglia in pubblico di tutti i suoi averi, per abbracciare una vita un po’ nomade, spiritualmente molto ricca, che è anche un bell’esempio di dialogo, carisma, contatti.

Chiara è di famiglia nobile e abbiente, che pensava per lei a un destino di moglie.

Simone Martini, Santa Chiara, 1344

Fugge da casa, si rifugia da Francesco, con il quale ha, a leggerlo oggi, un rapporto di tenerezza e anche di erotismo, non è forse vero che lui, quando l’accoglie, le taglia i capelli? E, come sappiamo, i capelli te li toccano in pochi e solo coloro che sono autorizzati, la mamma, il parrucchiere, l’amante.

Chiara lascia il padre e si mette sotto la custodia di Francesco.

Il fascino di lui attraversa i tempi e Ludovico di Tolosa si fa francescano e rinuncia al regno, incoronando lui stesso, almeno a quanto vediamo, il fratello Roberto d’Angiò.
Che ha fretta di legittimare l’atto, dunque chiede a Simone Martini di illustrarlo in modo che tutti capiscano.

Simone Martini, San Ludovico incorona Roberto d’Angiò, 1317

E ne esce una delle opere più scintillanti della storia dell’arte, quando l’ho vista a Capodimonte la prima volta, dopo che per anni era stata chiusa nei depositi e io l’avevo studiata sempre in riproduzioni bruttine e piccolette, spesso anche in bianco e nero, ho avuto come una visione abbagliante. Magnifico il santo, con il saio che si scorge benissimo sotto lo splendore del mantello, piccolo e umile il nuovo re, confinato in un angolo, ma con l’assicurazione di avere una bella corona sulla testa.
Anche se pure Ludovico ha una corona sua, questa, portata in volo dagli angeli e, come spiego sempre a lezione, con la medesima funzione del coperchio sulla pentola, che copre e chiude e tappa, proprio come la corona di Ludovico mette un freno a tutte le spinte ascensionali, dunque, gotiche, che partono dal basso.

Se pensate che il nostro tempo sia corrotto dal denaro, rileggetevi Balzac. Per il quale il dio di Parigi è il banchiere e tutti si rivolgono a lui, commercianti sull’orlo della bancarotta, ragazze innamorate, madri che nascondono le colpe dei figli. Il racconto Gobsek è pubblicato nel 1830 e prende il nome dall’usuraio protagonista.

Auguste Rodin, Balzac, 1897

Balzac narra di un mondo in cui gli scrupoli morali sono démodés, con un «principio dell’Onore» che è stato rimpiazzato dal «principio del Denaro».
In quel mondo lo scopo principale di tutti è di arricchirsi.

Chissà se tutto questo vi ricorda qualcosa.

La Traviata di Verdi è rappresentata la prima volta a Venezia a La Fenice il 6 marzo del 1853.
La storia è quella raccontata da Alexander Dumas (figlio) nel suo La signora delle camelie (una camelia bianca appuntata sul petto, quasi sempre; una camelia rossa in certi giorni del mese. Mademoiselle Chanel, con la camelia sua, non si è inventata niente).
L’azione verdiana si svolge a Parigi nel 1850, quindi, siamo nella piena contemporaneità, sarebbe come per noi stare a teatro e vedere cantanti vestiti come noi.

Maria Callas in La Traviata

Ora, tutta l’opera ruota intorno al tema del denaro, e del denaro così come era pensato in quegli anni.
Da qui l’assurdità di alcuni registi che spostano l’azione, cambiano l’ambiente, aggiornano i costumi.
Ma che aggiorni, se tu sposti l’ago della bilancia del tempo, allora non hai proprio capito niente.

Pochissime note, queste. Così, tanto per cominciare a ragionare su un tema enorme, invadente, aggressivo, che ci sta sempre davanti.
Poi, però, c’è anche tutto il resto: le relazioni gratuite, il dono, la bellezza del mestiere.
Io sono pure d’accordo con le posizioni radicali che dicono che il denaro estingue i debiti fra gli individui, che regolamenta l’offerta degli organi, degli ovuli e dello sperma e che autorizza la prostituzione come «sesso ricreativo», se non è (anche) ricreativo il sesso, non riesco più a pensare a nessuna forma di ricreazione.

Però voglio anche rivendicare il diritto della povertà ad avere il suo profumo; a non essere ricchi di famiglia; a trovarsi un posto caldo al mondo sulla base dei propri talenti e del proprio impegno.

E, a dirla tutta, trovo le scarpe di Sergio Rossi orrende: sgraziate, sproporzionate, adatte solo a donne che svettano oltre il metro e ottanta.
Scomodissime.

Carl Spitzweg, Il poeta povero, 1839

2 Comments

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  1. Sabina Albano

    9 maggio 2019 — 8:10

    Il Pane e le Rose

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