Fabien Marchal

Come già accennato, sono una piagnona.
L’ho ammesso qui, quando mi sono occupata del sapore del sale (e le lacrime sono salate, quindi, ci siamo) e qui. A proposito di Six Feet Under, la serie dei becchini di Los Angeles, vi raccontavo di come un paio di estati fa avessi ingoiato cinque stagioni e sessantatré episodi in venticinque giorni, arrivando una volta a battere ogni mio record personale con cinque episodi in un sola giornata ma, nello specifico e perché è qua che voglio andare a parare, vi dicevo di come avessi cominciato a piangere nella terzultima puntata, raggiungendo il climax nell’ultima, per scrivere la quale, del resto, il creatore stesso si era infilato in una sua casa a 1.500 metri di altezza in un posto in California, piangendo pure lui dall’inizio alla fine della scrittura.
Io piango, ma solo su cose serie.
Per esempio, oltre che sui casi miei, piango sulla morte di Violetta nella Traviata e su quella di Mimì della Bohème  e piango sempre, pure se so quello che succede e se conosco l’opera a memoria, piango ogni volta come se fosse la prima, piango come una fontana, se sono a teatro portandomi un’adeguata scorta di fazzoletti, se sono a casa mia, predisponendo un efficiente lacrimatoio, completo pure di impacchi di ghiaccio per gli occhi perché poi mi secca andare in giro malconcia.

Su Versailles, però, non c’è niente da piangere.

Il re è paranoico e divorato dai suoi demoni; il fratello è ambiguo, fatuo, ferito e tormentato; la regina è bella e dolente; i cortigiani sono per la maggior parte futili, ambiziosi, intriganti, tossici e traditori.
Fra di essi, per forza di cose, spiccano le personalità dei politici e dei ministri, vicini al sovrano e che intrattengono con lui rapporti complessi di fiducia e di forza.
L’unico fra di essi che sembra provare dei sentimenti è colui che, con l’andare degli episodi, si è imposto alla mia attenzione, diventando il mio favorito (siamo alla corte, mi adeguo).

Fabien Marchal è il Capo della Polizia, lui è gli occhi e gli orecchi del re. Cupo, tenebroso, solitario, fisicamente forte, cresciuto di espedienti, è uno che si sporca le mani, che usa violenza e tortura.
Figlio di uno stampatore, rimasto orfano da bambino, rinchiuso in un orfanotrofio dal quale fugge per la durezza delle condizioni, incontra il sovrano, che lo sceglie per l’intelligenza e l’intuito.
(Se non vi ricordate in quale episodio si narra l’infanzia di Marchal, è perché essa non è narrata in nessun episodio. Mi sono informata io e io sto informando voi).
L’uomo spietato, però, mostra crepe qui e là. E le crepe si aprono quando lui entra in relazione con una donna.
E diventa umano.
Lui è uno che ha frequentato la Corte dei Miracoli, che non è un modo di dire ma un luogo reale, con dentro ladri e criminali, quindi non è uno tenero.
Però si intenerisce.

Madame de Clermont

La sua relazione con Madame de Clermont volge subito al tempestoso: lei è bella e infida, protestante e avvelenatrice, quando fanno l’amore la prima volta lui le dice «Non ho mai avuto una donna come voi», proprio quello che ogni donna vorrebbe sentirsi dire, soprattutto ai nostri giorni, in un mondo che sembra diventato un pollaio pieno di galline interscambiabili.
Lei, però, tenta di avvelenarlo e lui attraversa tutto l’inferno che va dal pericolo di vita alla delusione.
E deve eliminarla, è suo dovere.
L’esecuzione, silenziosa e senza spettacolo, avviene nottetempo nei giardini, lui dice a lei di inginocchiarsi, lei si inginocchia e guarda lui, lui guarda lei e su quel volto torvo e virile affiora la medesima espressione che Caravaggio ha dato a due delle sue creature.

Caravaggio, David con la testa di Golia, 1610

È il giardiniere Jacques, altro ceffo da galera ma fedelissimo che è spuntato dall’oscurità, a impugnare la spada e a decapitare Béatrice.
Fabien Marchal assomiglia più a Golia che a David, ma il regista sa maneggiare molto bene i sentimenti e come l’artista grandissimo li rimescola, così il carnefice è più dolente della vittima e passano in quegli sguardi, quello del ragazzino pastore e quello del Capo della Polizia, tutte le storie che ci sono state con l’altro, ma anche quelle che ci sarebbero potute essere, che sono poi le più dolorose perché non ci saranno, perché è finito il tempo e col tempo è finita la speranza.

E c’è una spada in tutte e due le scene.
E in tutte e due le scene c’è una decapitazione.

Claudine Masson

Fabien Marchal avrà dopo anche una relazione con Claudine Masson, altro gran bel personaggio, una giovane donna figlia di un medico, più abile del padre e che si farà strada a corte.
Lei lo ha tirato fuori dall’avvelenamento e di veleni diventa esperta, al punto da infastidire alcuni pericolosi criminali.
Lui una sera la trova agonizzante, ho sperato fino alla fine che sapesse riprendersi, non era sapiente e un po’ magica?

Ma non è bastato e la vediamo morta, vegliata da lui, prima che la furia lo muova a vendicarla, riportandolo per le sue indagini nei bassifondi dai quali proviene.

Non so come andrà a finire perché sono arrivata solo qui, ma se ormai tira quest’aria, e quest’aria mi sembra che tiri, qui mi sa che pure con Versailles mi tocca preparare i fazzoletti.