COME SI PREPARA UNA LEZIONE

Il frutto del bergamotto è chiamato esperidio: ha una forma sferica schiacciata ai poli, è di medie dimensioni e ha una buccia color giallo

Mi sono fatta arrivare una cassetta di bergamotti.
Ricavarne una spremuta è difficile, hanno poco succo e molta fibra, per non parlare dei semi.
Ma l’odore che si sprigiona grattando con l’unghia la buccia è impagabile, ho portato più di un profumo che aveva nella sua composizione il bergamotto e tutti quei profumi mi sono tornati in mente.
Ho comprato al supermercato un sacchetto da due chili di mele rosse. Piccolette, compatte, secondo me sono migliori pure di quelle grandi lucidate con la cera che sembrano pronte per Biancaneve.
La consegna del vino è in ritardo, dovrò mettere mano alla scorta delle grandi occasioni.
Sai che dispiacere.
Mi serve solo una pagnottina di pane fresco, con tutto il resto sto a posto.

La settimana prossima ho in tutto cinque lezioni, due delle quali sono una prima volta.
Il venerdì, che è festa, mi siedo per tempo alla mia scrivania e attacco la mia maratona.

Ve ne racconto un pezzo, come dopo una maratona vera si racconta un tratto del percorso.

Bergman nella sua autobiografia scrive che girare un film è «un’operazione intensamente erotica».
(Infatti lui ha avuto relazioni amorose, anche profonde, con tutte le sue attrici.
Sciocco, superbo, idiota provinciale, genio di paese: se lo dice da solo.
Se uno insulta se stesso con i suoi propri mezzi, potete star sicuri che ci prende).
Analogamente, o quasi, preparare una lezione è un’operazione intensamente creativa.
Una volta individuato l’argomento, puoi percorrere strade diverse per svilupparlo.
Diciamo che preparare una lezione equivale a scegliere il menu per una cena, a fare la spesa, a cucinare ciò che va cucinato, a disporre in modo adeguato il resto.
Ecco, più o meno ci siamo: pensare alle persone che hai davanti come se fossero invitati alla tua tavola.

Inoltre. Da cosa nasce cosa. Ovvero, bisogna trovare lo stato d’animo giusto e mettersi in ascolto. Di che cosa. Di tutte le sollecitazioni e di tutti i suggerimenti che arrivano quando stai nell’ambiente propizio.
E il mio studio, piccolo e affollato, è tale.
Il rito comincia mettendosi alla scrivania e buttando giù le prime idee.
Il primo passo.
Sto lavorando su Roma, argomento inesauribile. Come diceva un amico mio, che era anche mio collega, siamo stati talmente stupidi da nascere a Roma, quando avremmo potuto venirci in vacanza per trent’anni di seguito senza mai esaurirla.
Era nel giusto.

Isola Tiberina

Ho cominciato a occuparmi del Tevere, attaccando dall’Isola Tiberina, dove la Città Eterna è nata. L’isola è, per sua natura, un punto di attraversamento, quindi favorisce i traffici e i commerci. C’erano dei ponti e chi era autorizzato a occuparsene era rivestito di un’autorità sacra: pontifex, tu guarda.
Uso una base, che è un fantastico volume di un archeologo che scrive come se raccontasse favole. In fondo, le favole, le racconta. Trovo pure un mio appunto sulla prima pagina e l’appunto dice che il testo è magnifico, secco e chiaro.
Non sono un’archeologa ma ho fatto i miei esami di Storia dell’arte greco-romana, ho anche fatto dei corsi come docente, non casco dalle nuvole, ma, certo, mi muovo meglio quando sto dalle mie parti cronologiche.
Poco male, rivendico il diritto di occuparmi di tutta l’arte che c’è sulla faccia della terra, dando di un argomento che per me è poco frequentato una visione più fresca.
Almeno ci provo.
Faccio ogni tanto una pausa.
Visito il sito di una giovane donna che è passata dal virtuale al reale e che ha aperto il suo concept store. 1.200.000 abbonati su Instagram, poi il grande passo, completo di ristorante, lei è figlia di ristoratori, quindi sa di che cosa parla.
Gli abiti sono deliziosi, ho voglia di comprarmi una maglia, perdo un po’ di tempo a prendere le misure di un cardigan.
Le cattive acque in cui naviga la mia città si colgono pure nell’impossibilità subentrata da qualche tempo di trovare in un negozio qualcosa di bello da mettersi addosso.
Ritorno al Tevere.
Anch’esso considerato sacro: il 14 maggio di ogni anno si gettavano nel fiume dei fantocci di giunco per indennizzarlo. Memoria di antichi sacrifici umani, i pupazzi risarcivano il fiume della presenza di un ponte che lo aveva scavalcato.
Il ponte era fatto di assi legate insieme, ecco perché si chiamava pons sublicius, il nome indica esattamente questo.

Orazio Coclite sul ponte del Tevere

Mai lo si doveva riparare con del ferro, era importante che le assi potessero essere disfatte rapidamente.
Da qui la leggenda di Orazio Coclite che combatte da solo, mentre i compagni andavano disfacendo il ponte, contro tutta l’Etruria che tenta di aggredire Roma e che fa marcia indietro con le pive nel sacco.
Le pive erano le cornamuse e si suonavano in guerra. Quindi, se prendi il tuo strumento e te lo rimetti nella saccoccia, vuol dire che hai perso la battaglia.

Potrei fare una digressione a proposito di questo modo di dire, ne uscirebbe un bel siparietto.
L’aria del sorbetto. Ti rinfreschi un momento prima di andare avanti.
A teatro si mangiava un gelato quando l’aria in corso non era un granché, insomma, quando cantavano artisti di second’ordine.
Non sia mai, tutti i miei artisti sono straordinari.
Preparare una lezione come il compositore scrive la sua opera.
Sono sempre molto attenta quando sento parlare di come lavorano gli altri, musicisti, scrittori, se si incagliano, come escono dalle secche.
Lavoro bene intorno alle 12:30, quando arriva il sole, quando il sole c’è, alla finestra del mio studio.
Da ragazza studiavo bene dopo le 18:00, evidentemente avevo bisogno di tempo per carburare.

Da ponte nasce ponte. Ponte come attraversamento.
A nemico che fugge ponti d’oro.
Fare da ponte.
Molta acqua è passata sotto i ponti.
Tagliare i ponti con il passato.
Bruciarsi i ponti alle spalle.
Die Brücke, anche uno dei rami dell’Espressionismo, mi piace che in tedesco il ponte sia femminile, nessuno mette insieme due cose opposte come sanno fare le donne.
Sul Golden Gate di San Francisco mi sono resa conto che mi piacevano i ponti.
Da lì passo un momento per Hitchcock, che l’ha ripreso in almeno due film, Vertigo e Birds, ricordare sempre il talento di questo cineasta impareggiabile che piace a tutti, al collega regista e alla signora, che guarda i vestiti delle attrici.

Kim Novak in Vertigo, La donna che visse due volte, Alfred Hitchcock, 1958

Come concetto, provare a fare come lui.

Rispondo a un paio di telefonate.
Rispondo ad alcuni messaggi.
Do un’occhiata ai social.
Guardo che cosa fa la mia modella prediletta, che sembra condurre una vita di bellezza, alcol e incontri.
Io attaccata alla mia scrivania da circa quattro ore, mi sono alzata solo per andare a bere dell’acqua.
Non era questo che volevo?
Più o meno.

Il porto di Ripa Grande

Dal ponte arrivo al porto. Già affrontato quello, minore, di Ripetta, comincio a occuparmi di quello più importante, il porto di Ripa Grande.
Entrambi distrutti quando il fiume è stato imbrigliato nei Muraglioni che sappiamo.
La mia carta di Roma è letteralmente a pezzi.
Bandiera vecchia onor di capitano.
Mi alzo dalla scrivania, ho bisogno di un tavolo sgombro, libero quello del soggiorno dal proiettore e metto scotch dappertutto.

San Michele a Ripa Grande

Ricordo molto bene dove era il sito del porto, controllo, è facile, lo dice anche il nome: S. Michele a Ripa Grande, Trastevere.
Il proiettore.
Nella scorsa stagione ho letteralmente buttato al secchio tutto il mio archivio, impiegando undici settimane.
Sono rimasta senza niente, sto rifacendo tutto.
Se in aula ho un computer o una internet tv a disposizione, posso scaricare ogni tipo di immagine. Altrimenti ogni foto va convertita e deve passare da jpg a png.
Ho imparato abbastanza bene.
Il proiettore non legge tutte le immagini, alcune sono troppo pesanti, altre troppo leggere. Dopo aver messo insieme un po’ di iconografia, estraggo la chiavetta dal pc, il pc sospira, e vado a inserirla nel proiettore che sta sul tavolo grande.
Mi porto carta e matita, anche se finisce che mi ricordo che quella maledetta 023 il proiettore non riesce a riprodurla.
E devo ricominciare daccapo.
Reinserisco la chiavetta nel pc, altro sospiro.

Guardo il prezzo di una bottiglia di Krug, chiamiamola, normale, e mi chiedo quanto vorrei guadagnare con la professione che esercito: abbastanza da comprarmi un Krug tutte le volte che ne ho voglia.
Per non parlare del resto.

Chi cerca trova e trovo una stampa di Piranesi che ritrae il porto.

Giovan Battista Piranesi, Porto di Ripa Grande, 1753

Piranesi non finisce mai di stupirmi. A parte il talento pazzesco di incisore, si mette lì e, per esempio, trascrive tutta la parte della statica, insomma, le sue incisioni dei ponti, che sono bellissime, ti dicono che lui ha capito come un ponte si getta.
Fa paura.
Penso che si cucinava un pentolone di riso una volta a settimana e che si mangiava il riso freddo tutti i giorni per non perdere tempo.
Doveva andare a disegnare.
Penso che ho scollinato l’ora di pranzo e che forse dovrei mangiarmi almeno una mela.
Penso che Marguerite Yourcenar si è inventata una cosa bellissima: il veneto Piranesi arriva a Roma, conosce Angelica Pasquini, una del popolo, e fa l’amore con lei la prima volta una sera nel Foro.
Pensando di congiungersi con Tellus, la dea romana della Terra, in persona.
Una volta in Calcografia mi dettero delle stampe di Piranesi da visionare. Mi offrirono una sedia e mi dissero «prego», ero emozionatissima, toccare quelle meraviglie.

Il ponte Sublicio è stato ricostruito. Oggi si chiama così oppure ponte Aventino.

Ponte Sublicio o Aventino

Mi ha detto un’amica trasteverina che la madre lo chiamava sempre Sublicio e mai Aventino.

Per me il ponte più bello di Roma è ponte Sisto.
Guarda, dopo i restauri, che meravigliosa aria quattrocentesca gli è venuta.

Ponte Sisto

Appena vista la mostra di Luca Signorelli in Campidoglio, giubileo di Sisto IV del 1475, occasione per costruire il nuovo ponte.
Quando tutto si tiene, mi sento meglio.

Se non scendo subito a comprarmi il pane, sto senza.
In quindici minuti di orologio vado al supermercato, chiedo a Mirella, la mia pescivendola, come sta la sorella, da mesi malata, sta meglio; chiedo a Natala, la fornaia, come sta il nipotino più piccolo, bene, è quello grande ad aver fatto un pasticcio, dodici anni, è uscito di sera per la prima volta e non ha risposto alla madre al cellulare.
Dunque, sta in punizione.
Mi pare il minimo, mio padre non mi faceva uscire la sera nemmeno quando di anni ne avevo diciotto.
Scherzo con il direttore, che una volta mi aveva detto che mi avrebbe regalato un cane, per la precisione un chihuahua, perché avevo protestato per i cani nei carrelli e non l’ha ancora fatto.
Filo di corsa a casa con la pagnottina fresca, le fette biscottate e una busta di verdura.

E meno male senza cane.
L’altro giorno per strada una ragazza volenterosa mi ha chiesto se volevo adottarne uno.
Ma per carità.
Lei mi ha guardata delusa.
I miei pesci rossi sarebbero gelosissimi e, la gelosia del pesce rosso, tutti la conosciamo.
Io sono un’esperta di gelosia, ve l’ho raccontato qui  e qui, ma non ho mai visto un pesce rosso geloso.
Comunque la scusa ha funzionato e la ragazza si è messa a ridere.

Riattacco con il fiume, trovo bellissima la toponomastica che gli sta intorno: via Marmorata, ci scaricavano i marmi; piazza dell’Emporio, c’erano i depositi annonari, ovvero quelli che contenevano la parte di rendite dello stato che era versata in natura; via del Porto Fluviale; via del Commercio.

Pietro Lombardi, Fontana delle Anfore, 1926, part.

La Fontana delle Anfore, degli anni ’20 del secolo scorso, cita il nome del rione: Testaccio, testae, i frammenti di anfore che lo compongono. Buttate via dopo l’uso perché inutilizzabili, troppo costoso ripulirle, hanno creato una collinetta artificiale.

Annotta.

Il Monte dei Cocci

 

Nel frattempo sono andata fino quasi al mare e ritorno, in un percorso di traffici e commerci, passando per la necropoli della via Portuense, saltando Corviale, che ho già fatto e che con l’argomento di oggi poco c’entra, arrivando fino al lago di Traiano.
E al porto di Claudio, sec. I, sui resti del quale insistono le attrezzature aeroportuali di Fiumicino.


Quanto è bella la Torre di controllo.
Ogni volta che la vedo vuol dire che si parte.
Leggo un’intervista al responsabile, che parla di turni e di personale.
Penso che in un episodio di Breaking Bad c’è un controllore di volo che impazzisce, gli è morta la figlia e commette un errore irreparabile.

Se riesco, stasera mi vedo un po’ di Fleabag, lei è breve e leggera, ormai è ora di chiudere.
Intanto ho preso anche contatti per farmi  arrivare, stavolta dalla Sicilia, una cassetta grande di agrumi: arance, da tavola e da spremuta; limoni Femminello verde; un paio di cedri.
Mi sono anche sentita al telefono con il titolare dell’azienda, gli ho detto che il suo accento suonava al mio orecchio così promettente e suggestivo.
Ovvio, mi ha composto la cassa proprio come la volevo, facendomi pure uno sconto.
Se con le parole e la voce da sole riesci a cambiare il senso delle cose e del mondo, vuol dire che nelle cose e nel mondo c’è ancora speranza.

Piove a intervalli da stamattina, novembre ha fatto il suo ingresso en fanfare.

Passo di nuovo in rassegna tutte le immagini.
Rivedo i miei fogli appunti, faccio un paio di correzioni, mi sono portata un calice di vino al computer.
Salvo e stampo.

La lezione è pronta.
Dico sempre che una lezione va sottoposta alla prova del budino, che capisci se è buono quando lo mangi.
Se è buona la lezione, lo capisci facendola.
Se ne parla lunedì pomeriggio.

Ma questo è un altro discorso.

4 Comments

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  1. Tecla N Palombi

    3 novembre 2019 — 21:20

    Fantastica Rosellina, mi sono “scialata”, come dicono in Calabria, e, come se guardassi dal buco della serratura, ti ho vista con il calice di vino, con i pezzi di scotch e poi sono venuta con te, grazie della compagnia, è un lusso ed un piacere seguirti! Ps. Anche io ho un debole per Piranesi, ma lo dico piano perché sono amica dell’ultimo Roesler Franz, non vorrei ingelosirlo! 🤫😉Buona notte Rosellina 💋

    • Grazie, Antonietta mia carissima, della lettura, del commento e pure dello scialo, mi pare che pure a Roma si dica così, mica solo da quelle parti che sono diventate tue. Quanto al confronto Piranesi e Roesler Franz, ti dico in tutta serenità che, come tu ben sai, non si possono sommare le pere con le mele, dunque, fra loro c’è solo possibilità di accostamento e non di competizione. Con grande stima e affetto e infinita riconoscenza ti stringo in un abbraccio, tutto nostro

  2. Ciao Rossella,
    delizioso questo spaccato della tua vita raccontato con leggerezza.Ammiro lo stile di come raccogli immagini , letture, sensazioni e le restituisci dandogli forma unitaria ma non granitica.
    Forma aperta a domande a stimoli di riflessione,
    come dovrebbe essere sempre una lezione.
    Buon anno accademico!

    • Rosella Gallo

      4 novembre 2019 — 9:27

      Grazie, Luigi, gentilissimo, del resto anche tu sei molto esperto dell’argomento, sai, io credo che il dietro le quinte sia spesso interessante tanto quanto lo spettacolo e sono convinta che il tempo della lezione sia prezioso e sacro, e tu questo lo sai molto bene, un artista trasmette sempre così tanto. Ti saluto molto caramente, augurandoti cose belle, per tutto

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