L’Air du Temps (page 3 of 15)

L’Air du Temps è un profumo storico ancora esistente. Esso è frutto di una Maison senza la quale la moda, e nemmeno il mondo, sarebbero gli stessi. Il nome, tradotto, significa «L’aria del tempo». E intendo inserire qui gli articoli che dell’aria del tempo si occupano: tecnologia; amori con i diverticoli, ovvero intestinali, sensibili e dolenti; oppure amori asmatici, ovvero che procedono per attacchi e a intermittenza. E poi tutto il resto.

ROOM SERVICE

Room Service, Hotel Le Pigalle, Parigi (foto Yacine Diallo, 2021)

…l’hotel è un luogo di erotismo che sembra favorire la creazione,  tirare fuori l’anima dal suo letargo
(Nathalie de Saint Phalle, Hôtels letterari, 1991)

Bill Clinton aveva un bellissimo accento del sud, morbido e avvolgente.
Unito alla prestanza fisica, voi capite che poi.
Barack Obama era un grande avvocato, un oratore, non potevi non incantarti.
Mi chiedo perché i nostri politici parlino tutti così male, già fai fatica ad ascoltarli; a prenderli sul serio, poi.
I toscani ostentano l’accento toscano.
I milanesi ostentano l’accento milanese. E qui non posso non sospettare che dietro ci sia il retropensiero di Roma ladrona, che, essendo io romana, trovo fastidioso.
E passiamo allora alla Capitale, che ha un nuovo sindaco.
Che, quando parla, evidenzia due caratteristiche: 1. Ha l’accento romanesco, nonostante la cultura e la carriera universitaria. Ma questo non è nemmeno antipatico, almeno per me, perché lui è sindaco di Roma e non, mettiamo, di Forlimpopoli o di Abbiategrasso, quindi ci può stare; 2. Ha una brutta voce, e qui il nodo è più difficile da sciogliere.
Che fa uno con una brutta voce.
Per prima cosa, deve rendersene conto. Poi, cerca di correggersi.
Ho chiesto ad alcune persone se avevano notato la voce del nuovo sindaco e mi hanno detto di no.
Evidentemente l’ho notato solo io.

Sarà che ho problemi di voce e che, quindi, è probabile che io, con le voci, sia in fissa.

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POUR L’AMOUR

Lauro

Quanto è brutto il diario di Chiara Ferragni.
Un mattone.
Come un mattone, pesante.
Sedici mesi.
Praticamente, dentro niente di niente, tutte pagine uguali, io mi ricordo che quando andavo a scuola, e ancora adesso con l’agenda, quella di carta, che continuo a usare (e ne ho una raffinatissima, francese, con il filo delle pagine d’oro), il lato più divertente era ed è andare a vedere le diverse sezioni, ci fu il periodo della Quo Vadis, non so perché usavamo tutti quella, che aveva solo lo spazio degli appuntamenti, figuriamoci, per gente come noi che sull’agenda ci scriveva, che te ne facevi di quel francobollo, dunque, si metteva tutto nella Dominante.
Poi sono arrivate le Moleskine, praticamente le pagine bianche di cui tutti andavamo in cerca.
Io sono al numero quaranta (40) del mio Journal.
L’altro giorno, visto che sono in fase liberatoria, ho detto adesso butto al secchio le prime venti (20), però poi ne ho aperta una, c’era il diario di un viaggio in America, nemmeno scemo, ho detto non è che sono scema adesso, quindi, se proprio voglio fare pulizia, butto uno scaffale di cataloghi d’arte fatti male e mi tengo le memoria della vita mia.

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IL PASSO VERDE

Dal profilo Instagram La Maison du Pastel  

Il segreto, è di scrivere qualunque cosa, perché quando si scrive una cosa qualunque, si cominciano a dire le cose più importanti

(Julien Green, citato da Jean Clair)

La madre di un’amica chiama il Green Pass Green Park e a me sembra un’ottima idea, è anche una stazione della metropolitana di Londra, dà immediatamente un senso di aria fresca e poi il verde, si sa, è riposante.
Ne parlo per la prima e l’ultima volta.
Sono di quelli che sono stati male con il vaccino.
Sei ore dopo la somministrazione, mi sono messa a letto e ci sono stata tre giorni.
Dopo una settimana ancora non capivo dove infilare le chiavi nel quadro della macchina e ho avuto altri strascichi, che forse non sono finiti.
Fatico a pensare che va bene così e comunque trovo irritante che mi dicano di vaccinarmi un cantante che con i mezzi vocali che ha avrebbe potuto fare una carriera ben più insigne, uno chef nemmeno simpatico o un velocista, che di virus e di vaccini ne sanno quanto me: praticamente niente.
Trovo non del tutto ragionevole assumersi questa responsabilità anche da parte di tante altre persone, comunque per ora è andata e mi vorrei occupare di altro.
Se ci riesco.

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EN JACHÈRE

Quando ero bambina, nel mio piatto, mangiavo sistematicamente gli spinaci prima delle uova. Tanto vale approfittare della fame, per ingerire il meno piacevole. Per il buono, ci sarà sempre del posto nello stomaco

Blandine Rinkel, Tutto trema, 2021

In vita mia, ho cucinato gli spaghetti alla Nerano quattro volte, tutte recenti.
La prima sono venuti buonissimi. La fortuna dei principianti.
La seconda, mediocri.
La terza, immangiabili.
Sono una donna equilibrata, dunque mi sono assunta tutta la responsabilità del fallimento, nel senso che non ho dato la colpa alle zucchine, che, ripensandoci, forse un qualche ruolo nel piatto ce l’avevano.
Comunque, ammetto che un po’ mi è seccato, farmi mortificare da un ortaggio così insipido.
Al punto che non ho mangiato zucchine per tutta l’estate.
L’altro giorno, sul filo di lana della stagione, ci ho riprovato, seguendo, stavolta, le indicazioni dello Chef.
Ho fatto spaghetti alla Nerano buonissimi, perché lo Chef, lui sì che è bravo e che spiega bene.
Ho anche capito dove avevo sbagliato: praticamente dappertutto, dal taglio impreciso delle zucchine alla successione della messa in padella degli ingredienti.
Il fatto è che cucinare bene è difficilissimo, infatti cucinano quasi tutti male, in casa e al ristorante.

Ma date retta allo Chef, piuttosto.

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È IL TEMPO DELLE MELE

Apple Harvest Girls, 1927

Abito al terzo piano. Dei condomini che stanno sopra di me ho vaghe informazioni, per esempio so chi sono, ho con loro uno scambio ma non sono in grado di ubicarli in facciata o sulle scale.
A parte, per motivi evidenti, la persona che è sopra di me, al piano quarto, che per me è la più importante del palazzo insieme al mio vicino di pianerottolo.
A un qualche piano superiore vivono anche due giovani maestrine, che incontro ogni tanto.
Ogni volta che parlo con loro mi viene da pensare all’errore, ancora più grande di quanto non sembri già a prima vista, che commette lo Stato nel pagare così male i suoi insegnanti.
Io ho avuto una maestra delle elementari derazzante: laureata in lettere classiche, stava lì dove io l’ho incontrata per pura passione.
Sottolineo che ho fatto solo scuole pubbliche, di quartiere, senza alcuna scelta, possibile o voluta.
Nel succo: è andata come è andata.

Ed è andata bene.

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IMPRESSIONI DI SETTEMBRE

Francisco de Zurbarán, La Vergine Bambina, 1633

Mi va l’occhio sul calendario.
8 settembre: Natività della Beata Vergine Maria.
Dunque, Maria Vergine nasce sotto il segno della Vergine.
Finalmente qualcosa di logico, geometrico, attendibile.
Con questo criterio, Marte nascerebbe in marzo, che è poi il suo mese di elezione, però nella terza decade, quando ormai è entrato l’Ariete, il più guerrafondaio dello zodiaco.
E Venere in marzo pure lei, ma prima, sotto il segno dei Pesci, che secondo me è il segno più femminile dell’oroscopo.
Un po’ capriccioso, ma che pretendi.
Inoltre Venere ha a che fare con i Pesci per via di una sua trasformazione, insieme a Cupido, per sfuggire a Tifone, un terribile mostro.

Baldassarre Peruzzi, Oroscopo di Agostino Chigi, Villa Farnesina, Roma, 1511

Lo racconta a Roma anche l’affresco attribuito a Baldassarre Peruzzi collocato nel decimo esagono della Sala di Galatea nella Villa Farnesina, fatta costruire dal banchiere senese Agostino Chigi.
Luogo di «equilibrio, armonia e proporzione propri del classicismo romano del primo ‘500», è quello cui io penso sempre quando vedo le seconde case di coloro che, tale e quale al banchiere, vogliono riposarsi dopo le fatiche del lavoro.
Se avessero saputo come e dove farlo, casomai guardando come e dove si riposava lui, l’Italia sarebbe oggi meno scempiata da architetture discutibili.

E, a proposito di discussioni, stavolta di argomenti, seguitemi.

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REPLICA, 9. LE VACANZE IN TASCA

Malle Courrier appartenuto a Monsieur Charles Beistegui, 1885

L’altro giorno uno mi ha dato della radical-chic.
Sullo chic, ci posso pure stare.
E sul radical che non ci troviamo.
Il tutto perché gli avevo detto che se lui avesse continuato a chiedermi: a): se stavo in vacanza; b): se ero stata in vacanza; c): se sarei andata in vacanza, mi sarebbe venuta una crisi mistica.
Ho detto mistica invece che isterica perché era più chic.
Quello si è risentito perché ha intuito che gli stavo dicendo altro: per esempio, che era uno con pochi argomenti di conversazione.
Miseri, banali e a me sgraditi.

La scorsa settimana stavo dal mio medico di riferimento.
Ha telefonato il fratello, che è il mio odontoiatra.
Saluti, esclamazioni di gioia, roba così.
Tutto reciproco.
I due hanno chiacchierato un po’ e quando il mio medico è tornato a occuparsi di me mi ha detto che il fratello, che stava a Nettuno,  andava a riposarsi in Grecia.
Ora, posso capire che Nettuno sia un posto stressante, ditelo a Maria Goretti, però, pure la Grecia non scherza.
Quando sento che uno sta a Patmos e che ci vogliono due giorni di traghetto per raggiungerla, penso sempre che Giovanni è andato lì a scrivere l’Apocalisse perché un posto più catastrofico non era riuscito a trovarlo.

Non so dove sta Formentera.
Non mi ricordo dove hanno messo Santorini.
Il Salento mi è indifferente.
Ho visto tanti di quei video e di quelle foto che arrivavano da Favignana e da Pantelleria, che entrambe mi sono venute a noia.
E non sono mai stata nell’una e nell’altra.

E non ho in programma di recarmici.

En bref.
Come sono andate le vacanze?

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REPLICA, 8. AIUTATI (CHÉ DIO TI AIUTA)

Voi, i tristi, e tantomeno (o più) i malinconici, che si autoregolamentano, non li dovete portare dallo psicologo.
(Lo psicologo ha bisogno di qualcuno che aiuti lui).
Voi i tristi li dovete portare dallo chef.
Ma non da uno chef qualunque.
Li dovete portare dallo chef che dico io.

La prima volta che l’ho visto, la sua esuberanza mi ha lasciato perplessa.
Poi, mi sono fatta portare.
E ho  fatto benissimo.
Ciò che noti subito, oltre al sorriso, è l’ottima forma fisica: mani eleganti, braccia muscolose, T-shirt che segna un bel torace.
Insomma, non è vero che se ti piace mangiare, diventi grasso.
Allo chef mangiare piace moltissimo, ti racconta il cibo come peccato, come godimento e come poesia, è capace di tirare fuori da un pezzo di pecorino la storia di una nevicata, però ha con il mangiare un rapporto sano, che non nega il corpo ma che, anzi, lo esalta.
È un affabulatore.
Romano de Roma, ha della mia città l’animo ironico e scanzonato, ma, questo è uno dei suoi miracoli, non scade mai nel volgare, nemmeno quando gioca, nemmeno quando interloquisce con il suo pubblico, che tratta sempre con garbo, prendendo però un po’ in giro i puristi e i mai contenti.

Lo chef fa venire fame a me, che sono una disappetente.
Il che è tutto dire.

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REPLICA, 7. LE PAROLE PER DIRLO

Greta Garbo in Anna Christie, 1930

Ieri ho fatto una cosa super eccitante, super avventurosa, super fantastica.
Ieri sono andata a cena fuori.
Mi sono truccata, pettinata, vestita, profumata e sono andata a cena in un posto fra l’altro magnifico, che sembrava certamente Roma perché era la terrazza di un albergo boutique vicino al Campidoglio, ma che sembrava anche altrove perché a Roma non solo di solito mangi male, ma ci sono spesso pecche ed errori e magagne nelle portate e nel servizio.
Invece.
Maître elegante che sapeva il fatto suo; camerieri cortesi e con la divisa a posto.
Bevuto benissimo: Campari corretto al Grand Marnier e alla marmellata d’arancia amara; rosé Costa d’Amalfi; Muffato della Sala.
Mangiato delicato, a tratti geniale, chef campano, la cui anima si esprimeva nei pomodoretti di accompagno, tagliati piccoli piccoli, profumatissimi.
Ho fatto i complimenti; mi hanno detto che se li faceva arrivare da casa.
Quando si dice: i dettagli.
La mattina mi ero svegliata con un filo di voce. Che a pranzo ancora stava lì, io mi aspettavo che scomparisse, visto che l’avevo pure utilizzata.
E invece persisteva.
Dunque, ho retto un minimo di conversazione.
Certo, ero mille miglia lontana dalle mie prestazioni consuete, io sono una loquace, comunicativa, estroversa, che tende ad ammobiliare i discorsi. Mi trovavo a navigare in acque a me ignote, frequentate di solito dai laconici, da quelli una parola è poca, due sono troppe, musoni che fanno vita mondana a spese di quelli che li supportano.
Scoprivo la ritrosia, i silenzi, scoprivo il peso di ogni frase.
A metà serata ero sfinita.
Poi mi è venuta la tosse.
Poi ho cominciato ad agognare il silenzio protettivo della mia casa.

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REPLICA, 6. RAPSODIA DI AGOSTO

Raffaello, La muta, 1507

Rapsodia (dal gr. rapto «cucire») mettendo insieme parti già tessute
Francesca Rigotti, Il filo del pensiero, 2002

Ho trovato un ragno nella vasca da bagno.
Animale filosofico per antonomasia, tira fuori da sé il filo col quale tessere una tela.
E poi ragno porta guadagno.
La sera però era morto, e questa cosa non mi è piaciuta per niente.

Mi sono fatta una serie di gobbi, cartelli come quelli che sostituiscono il suggeritore, con frasi mirate o intercambiabili.
L’inizio è sempre il medesimo: «Buongiorno, come va?».
Poi viene il bello.
«Vorrei per favore prendere la macchina, grazie».
«Ho bisogno di una vasca per i miei pesci rossi. Misura: 40 x 25. Grazie».
«Vorrei g 200 di carne tritata, della qualità migliore, grazie».
Ho usato il computer, caratteri chiari, grandi, il mondo è pieno di gente che non vede al di là del suo naso. In tutti i sensi.
Funziona.
Sophie Calle, artista del comportamento, ne avrebbe tirato fuori un’installazione. Io spero solo di raggiungere il mio scopo, minimale: fare le mie commissioni senza parlare.
Sono tutti cortesi, si sentono coinvolti, nessuno mi ha guardato strano, tutti si sono dati da fare più del solito.

Qualcuno ha aggiunto anche gli auguri.
Quasi quasi resto muta. Come Cosimo, il barone rampante di Calvino, che a un certo punto è salito sull’albero perché aveva litigato con i genitori  e ha deciso che non era più il caso di scendere.

Se volete una festa animata, animatevela da soli.

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